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ORATORIO DI S. FEDELINO (SORICO)

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Il piccolo oratorio sorge isolato in un luogo suggestivo sulla sponda occidentale del torrente Mera in corrispondenza di uno sperone roccioso alle pendici del monte Berlinghera, al limite settentrionale del territorio comunale di Sorico, e può essere raggiunto con un sentiero da Dascio oppure in barca dal fiume Mera. L'edificio, costruito probabilmente nel X secolo sul luogo dove secondo la tradizione avvenne il martirio di S. Fedele, rappresenta una delle più antiche testimonianze dell'architettura romanica comasca.L'oratorio presenta un semplice impianto ad aula quadrata con abside semicircolare ed è privo di una vera facciata dal momento che è costruito a ridosso della parete rocciosa. L'esterno dell'edificio presenta una muratura composita formata da ciottoli, pietre di Moltrasio ed alcuni elementi di reimpiego in marmo e granito. La parete dell'abside invece è scandita da una serie di lesene piatte inframezzate da coppie di archetti pensili, realizzati con conci in tufo, e presenta al centro una monofora a doppia strombatura con un archivolto.Sopra l'abside svetta un fastigio con un arco cieco inserito in un timpano nel quale erano visibili fino all'inizio del XX secolo alcune tracce di decorazioni pittoriche oggi scomparse. Sui lati nord e sud si aprono due porte centinate che consentono l'accesso al vano a base quadrata, coperto da una volta a crociera, nel quale si innesta l'abside. L'interno conserva parte della decorazione pittorica che probabilmente ricopriva tutte le pareti. Lungo le pareti del vano quadrato restano solo alcuni lacerti con figure di Santi quasi illeggibili mentre nel catino dell'abside è possibile ammirare un affresco con Cristo Pantrocratore fra due angeli e nella parte inferiore un affresco con i dodici Apostoli, divisi in due gruppi di sei dalla monofora posta al centro dell'abside.L'iconografia dei temi raffigurati ed il confronto con opere coeve sembra indicare una datazione degli affreschi all'XI secolo. L'oratorio sorge sul luogo dove, secondo la tradizione, furono ritrovate le spoglie di S. Fedele, legionario romano convertitosi al cristianesimo, decapitato nel 286 dai sicari dell'imperatore Massimiliano. In questa località fu quindi realizzata una prima chiesa, destinata ad ospitare le reliquie del santo, ma successivamente distrutta dai barbari.Nel 964 il vescovo di Como Ubaldo raggiunse l'oratorio, dove erano sepolte le reliquie del santo, e le fece trasportare a Como nella chiesa un tempo dedicata a S. Eufemia. Probabilmente a seguito di questo avvenimento, nel periodo compreso fra il 964 ed il 973, fu dato avvio al rinnovamento dell'oratorio le cui strutture sembrano risalire appunto al X secolo. Leggermente successivo appare invece il ciclo decorativo sulle pareti dell'abside che secondo gli storici potrebbe risalire al secolo XI. L'edificio fu dimenticato per alcuni secoli, anche a causa della sua collocazione isolata, e non fu sottoposto a particolari modifiche o manomissioni anche se fra il 1624 ed il 1627 fu utilizzato dagli Spagnoli come fortino e nel corso del XVIII secolo fu adibito a cucina e magazzino dagli scalpellini che lavoravano nelle vicine cave di granito. A partire dai primi anni del XX secolo l'oratorio fu oggetto di numerosi studi, stimolati dalla riscoperta dell'architettura romanica lombarda, e, grazie ad un comitato promosso da don Pietro Buzzetti, nel 1905 fu avviato un primo intervento di restauro su progetto dell'architetto Luigi Perrone.Ancora nel 1956 fu eseguito un nuovo intervento per il consolidamento degli affreschi interni. Infine fra il 1992 ed il 1993 fu realizzato un ulteriore restauro, finanziato dal Rotary Club e dalla Provincia di Como, con la sistemazione dell'area circostante all'edificio. Indirizzo: Km. 3,600 da Era (Fuori dal centro abitato, isolato) - Lago di Mezzola, Sorico (CO)
SIC MONTE VAGO - VAL DI CAMPO - VAL NERA

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Il SIC IT 2040011 “Monte Vago – Val di Campo – Val Nera ” (chiamato in seguito SIC) è localizzato in provincia di Sondrio (Lombardia, Italia settentrionale) ed appartiene alla regione biogeografica alpina della Rete Natura 2000. Il sito si trova interamente sul territorio comunale di Livigno e il suo limite occidentale confina con la Svizzera. Il SIC confina a Ovest con il SIC “Valle della Forcola” e a Sud-Est con il SIC  “Val Viola Bormina – Ghiacciaio di Cima dei Piazzi”. L’intero limite settentrionale del SIC si sviluppa sul confine di stato tra Italia e Svizzera. Il turismo nel sito è un fenomeno in costante crescita, nonostante non siano presenti all’interno delle valli principali (Campo, Vago e Nera) strutture di accoglienza turistica. È presente invece un punto di ristoro nel Rifugio la Tridentina sul Passo della Forcola di Livigno, dove è possibile anche pernottare. Un itinerario da trekking molto frequentato è il sentiero che dalla Forcola porta verso il Monte Vago; qui si possono osservare alcuni laghetti alpini (Lago del Vago). Appena fuori dal SIC, nella Valle delle Mine, è presente un altro punto di ristoro, presso la Malga delle Mine, proprietà del Comune di Livigno. L’edificio di abitazione, recentemente ben ristrutturato è abbinato alla sottostante stalla. La zona, grazie a interventi della CMAV è dotata di cartellonistica sul SIC e di un itinerario botanico, con pannelli lungo la strada. Essendo le possibilità di alloggio limitate al solo Rifugio Tridentina, quasi tutte le visite sono giornaliere e per la gran parte escursionistiche. La zona ha anche un discreto richiamo alpinistico per la presenza di vette interessanti come il Monte Vago, il Pizzo Paradisino e il Pizzo Val Nera.  La fruizione turistica invernale pare non essere molto sviluppata, ed è limitata a escursioni con racchette da neve e sci alpinistiche. Probabile, anche se non accertato, l’elisky. Non sono presenti nel Sic impianti di risalita. Le attività agro-silvo-pastorali riscontrate nel sito si limitano al pascolo di bovini, cha avviene nei fondovalle della Valle della Forcola, della Val d’Orsera, della Valle Vago, Val di Campo e della Val Nera, con il bestiame proveniente dall’Alpe Vago nella piana della Croce del Vago. Anche il versante della Valle delle Mine nel SIC è interessato dal pascolo dei capi provenienti dalla Malga della Mine presso il Baitel del Grasso degli Agnelli.   Paesaggisticamente molto vario e con numerose aree ad elevata spettacolarità, il SIC tutela per intero le vallate della Val D’Orsera (dove nasce il torrente Spöl), della Val Nera e della Val di Campo, che si uniscono poi nella Valle Vago, e parte del versante occidentale della Valle delle Mine. Tutto il versante orientalemeridionale della Valle della Forcola (sulla destra idrografica del Torrente Spöl) si trova all’interno del sito. Si sviluppano all’interno del SIC rilievi montuosi di grande rilevanza, in particolar modo il massiccio del Monte Vago, la Cresta del Pizzo Paradisino – Pizzo Val Nera, che prosegue verso nord con il Corno delle Capre e il Monte del Buon Curato. Le principali vette del SIC sono il Pizzo Paradisino (3298 m), il Pizzo Val Nera (3150 m), le Corna di Capra (3133 m), il Monte Vago (3059 m) e la Punta Orsera (3032 m ). Il sito è caratterizzato dalla presenza alle quote più basse di foreste di conifere e sui pendii montani di boscaglie e arbusteti. Nei fondovalle è diffusa la presenza di pascoli e, a un livello altitudinale più elevato, sono comuni le praterie alpine. Nelle aree a maggiore altitudine e a pendenza più elevata, dominano le pietraie, i ghiaioni, le pareti rocciose silicee, i rock glaciers e i ghiacciai permanenti. Il turismo è un’attività abbastanza diffusa all’interno del SIC principalmente come escursionismo e alpinismo. Principali attrazioni del sito sono la cascata della Val di Campo, situata all’intersezione tra la Val di Campo e la Val Nera, il rock glacier dell’alta Val di Campo e le vetta del Monte Vago. Il cicloturismo interessa solo un breve tratto della Valle della Forcola, dove il percorso ciclabile sul fondovalle passa alla destra del torrente, rientrando nei limiti del SIC. 
SITO DI IMPORTANZA COMUNITARIA DEL MONTE SANGIANO

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Di fronte alla dorsale del Monte Nudo [https://ebike-alpexperience.eu/it/b/382/copia-di-i-monti-della-valcuvia], il solco della bassa Valcuvia è definito verso meridione dal Monte Sangiano, ultima propaggine delle Prealpi Varesine a ridosso del Verbano.La sua forma allungata da NE verso SW riflette direttamente la struttura geologica dell'area, che è caratterizzata da una successione di rocce prevalentemente calcaree, articolata in una cascata di ampie pieghe che si susseguono da NW verso SE.La geologiaLa cresta principale, estesa dal Monte Sangiano vero e proprio sino a San Clemente, è costituita dal dorso di una grande piega convessa verso l'alto - cioè un'anticlinale - mentre la valle del torrente Boito e la dorsale sudorientale che culmina nel Monte Poiano è strutturata su di una parallela piega concava verso l'alto - cioè una sinclinale - che prosegue a oriente strutturando il solco della Valcuvia medio-alta.Rupi calcaree e cornici scoscese caratterizzano il paesaggio geologico, modellato su bancate di calcari e calcari marnosi con liste e noduli di selce, che risalgono alla fine del Giurassico e al Cretaceo inferiore; bianchi e a grana finissima, si rompono lungo superfici concoidi come una ceramica, giustificando il nome tradizionale di Maiolica con cui sono indicati nelle carte geologiche.Il cuore della sinclinale, lungo il torrente, racchiude invece marne verdastre del Cretaceo superiore, denominate Scaglia per la loro tendenza appunto a frantumarsi fittamente in scaglie.Le attività produttiveSito al margine della pianura varesina fittamente antropizzata, il Monte Sangiano è il luogo degli equilibri e della difficile convivenza fra le attività produttive e una natura ancora in gran parte intatta.Il fianco destro della valle del Boito e il Monte Poiano sono stati infatti in parte smantellati dalla cava per marne da cemento presente a monte di San Biagio: coltivata con un sistema "per fette orizzontali discendenti", essa si è approfondita negli ultimi decenni contemporaneamente al recupero e rimboschimento dei gradoni più alti, ormai inutilizzati, mentre il ridotto uso di esplosivi, i sistemi di abbattimento delle polveri e un continuo monitoraggio hanno permesso all'attività estrattiva di convivere con l'altra faccia del Sangiano, la sua anima naturalistica, salvaguardata e tutelata dall'omonimo Sito di Importanza Comunitaria (SIC), che abbraccia da tre lati il vallone della cava stessa.Gli habitat protettiAnche la vegetazione presente evidenzia un complesso equilibrio fra comunità naturali e associazioni floristiche legate all'azione antropica, queste ultime addirittura di maggior pregio rispetto alle prime.Date le quote ridotte dell'intero monte, di poco superiori ai 530 m s.l.m., e la sua posizione di fronte alla pianura, le sue condizioni climatiche sono tali da permettere l'insediamento di articolati habitat ricchi di specie termofile, mentre la ridotta idrografia superficiale, tipica dei massicci calcarei, favorisce la presenza di specie xerofile, cioè amanti dei luoghi aridi.Il bosco di latifoglie, dominato da castagno, orniello e frassino, ha ormai avuto il sopravvento sugli antichi pascoli e prati da sfalcio artificialmente mantenuti; nonostante la loro origine antropica però, i lembi residuali di questi ultimi, arroccati lungo i  sassosi e acclivi versanti sudorientali, costituiscono oggi uno degli elementi di pregio naturalistico dell'area (habitat 6210: formazioni erbose secche): si tratta infatti di praterie a elevata biodiversità, costituite prevalentemente da graminacee (Bromus erectus) e ciperacee (Carex humilis), ma ricche di specie erbacee spesso rare, che danno rifugio a una gran varietà di insetti impollinatori.Questi prati magri sono a loro volta contornati da una rada boscaglia xerofila dominata da una quercia rara nelle Alpi, il cerro (Quercus cerris); essa presenta caratteristiche tali da proporne la tutela, assimilandola a un altro habitat di importanza comunitaria, la boscaglia a roverella (habitat 91H0: boschi pannonici di Quercus pubescens).Gli antichi insediamentiCome molte culminazioni isolate e di particolare fascino, anche il Monte Sangiano apparve sin dall'antichità come "luogo del Sacro": fra le tracce di frequentazione, una delle più antiche è infatti un ossuario in serizzo di età romana ritrovato presso San Clemente. E' invece altomedievale la piccola chiesa omonima, oggi restituita all'originaria forma dopo scavi archeologici approfonditi. Ad aula unica e con abside semicircolare, essa conserva frammenti di pavimento a mosaico forse di età Carolingia, o al massimo del X secolo; resti di affreschi di poco più tardi sono stati inoltre recuperati all'interno.Custodita da un "romito" sino alla fine del XVIII secolo, essa cadde poi in abbandono, sino ai restauri degli anni '70 del secolo scorso.Assieme al piccolo villaggio attorno, essa testimonia di un tempo in cui l'Uomo abitava le montagne, sottraendo alle boscaglie magri spazi da coltivare, e traendo dalle pendici sassose le bianche pietre per costruire.Di seguito il pannello illustrativo con i riferimenti del presente punto di interesse che troverete lungo il percorso e allegato in seguito.
CHIESA DI NOSTRA SIGNORA DI FATIMA (GERA LARIO)

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La chiesa si sviluppa con pianta ad unica navata con due piccole cappelle laterali e presbiterio quadrangolare al quale si accede con due gradini; la sacrestia è a sinistra del presbiterio mentre sul lato destro si accede ad un altro locale.Le strutture murarie sono a vista all'esterno, con tessitura mista di pietra e laterizi, e completamente intonacate all'interno. La struttura di copertura è costituita da travatura lignea con manto in lastre di pietra della ValmalencoEpoca di costruzione: 1614 - 1634 Indirizzo: Statale Regina (Nel centro abitato, distinguibile dal contesto) - Gera Lario (CO)
La chiesa di S. Maria del Tiglio, eretta come battistero delle pieve, è posta in un'area esterna al centro abitato, nei pressi della riva del lago, a fianco della parrocchiale di S. Vincenzo.In questo luogo sorgeva probabilmente già in tempi antichi un'area sacra come sembra testimoniare la presenza di un'ara romana murata nell'interno della chiesa e di una testa scolpita inserita in facciata che potrebbe provenire da una stele funeraria.L'edificio presenta una pianta centrale rettangolare sulla quale si innestano le due absidi laterali, le tre absidi della zona terminale e un vestibolo di ingresso. La facciata è decisamente singolare in quanto presenta in posizione centrale, esattamente sopra l'ingresso, il campanile, impostato su una pianta quadrata nel primo tratto e su una pianta ottagonale nella porzione superiore fino alla cella campanaria, a testimonianza delle diverse fasi costruttive di questo manufatto, confermate anche dalle differenze nei paramenti murari e dai documenti d'archivio che consentono di individuare vari interventi eseguiti fra il XIV e il XVI secolo.Caratteristica peculiare dell'edificio sono le murature in pietra, accuratamente apparecchiate, realizzate con fasce orizzontali in marmo di Musso alternate ai corsi realizzati con blocchi in pietra grigia. Sia il campanile che le pareti della chiesa presentano inoltre decorazioni con archetti pensili impostate su lesene angolari ed in facciata si possono osservare anche elementi scolpiti di reimpiego che provenienti dall'antico battistero. L'interno è caratterizzato sulle due pareti laterali da archi a tre fornici, sostenuti da colonne, sopra i quali scorre un loggiato mentre la parete di fondo presenta tre absidi terminali. Le murature in pietra a vista conservano porzioni di affreschi risalenti a diverse fasi decorative.In controfacciata campeggia un affresco che raffigura il Giudizio Universale, risalente al probabilmente al XIV secolo. Sulla parete dell'abside destra si conserva un affresco in parte mutilo che rappresenta la Madonna in Trono con S. Nicola da Bari e un altro santo non più identificabile. Nella parete sinistra della chiesa si può ammirare un interessante Crocifisso ligneo, risalente al XII secolo, probabilmente opera di un artista d'oltralpe. L'abside invece presenta un trittico, risalente alla metà del XIV secolo, nel quale sono raffigurati in sequenza S. Anna metterza, S. Susanna e S. Giuliano Ospitaliere nell'atto di uccidere i genitori ed un lacerto di affresco che rappresenta S. Lucio, protettore dei casari.Sulla parete di fondo sopra l'abside destra si conserva un lacerto di affresco con l'Adorazione dei Magi che sembra risalente alla seconda metà del XV secolo. Le Storie di S. Giovanni Battista, collocate sull'arcone di ingresso all'abside centrale, sono da mettere in relazione con l'originario utilizzo dell'edificio come battistero. L'abside destra presenta una decorazione geometrica a riquadri e un affresco con la figura di S. Stefano sul pilastro. Nei pressi dell'abside sinistra sono visibili i resti della pavimentazione a mosaico appartenente al battistero paleocristiano.CAMPANILEIl campanile si innesta sulla facciata della chiesa; si sviluppa con pianta quadrangolare fino all'altezza della copertura della stessa e con pianta ottagonale nei livelli successivi.E' stato realizzato in diverse fasi costruttive e il primo livello era forse, in origine, il pronao della chiesa. Le strutture murarie sono realizzate prevalentemente con blocchi di pietra locale posati, fino ad una certa altezza, a filari regolari bianchi e neri alternati, con elementi di reimpiego scolpiti a bassorilievo; nella parte alta la tessitura diviene più irregolare e presenta anche elementi di laterizio. Nella parte bassa dell'edificio, in posizione centrale, si apre un ampio portale che immette nella chiesa; la cella campanaria è coperta da cupola; la copertura si imposta su tamburo circolare caratterizzato da pilastri alternati a colonne.Epoca di costruzione: sec. XI - secondo quarto sec. XVI Indirizzo: Piazza XI Febbraio (Nel centro abitato, isolato) - Gravedona (CO)
VALLI S. ANTONIO (CORTENO GOLGI)

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La riserva si trova nel Comune di Corteno Golgi, in provincia di Brescia, all’estremità orientale delle Alpi Orobie, e si estende sul territorio di due bellissime vallate, la val Brandet e la valle di Campovecchio, che si congiungono presso la valle di sant’Antonio, vicino all’omonimo paesino, frazione di Corteno Golgi.Le valli presentano ancora oggi caratteristiche naturali ben conservate, grazie all’attento operato dell’uomo che, nei secoli scorsi, ha saputo creare un equilibrio tra sviluppo agricolo e conservazione della natura. L’area è inserita in un territorio dove sono tuttora visibili le tracce lasciate dal ritiro dei ghiacciai: superfici rocciose abbandonate, vasti depositi di detriti e suggestivi laghetti.L’area tutelata è limitata esclusivamente ai territori delle tre vallate fino a un’altezza variabile tra 1200 e 1700 metri.Il graduale sviluppo in altezza della zona ha permesso a tutte le componenti più tipiche del paesaggio montuoso di potersi manifestare: ai ripidi pendii boscosi si alternano i prati, i pascoli e le caratteristiche abitazioni rurali, tutte realtà che si integrano in maniera armonica. I boschi di abete rosso, il larice comune e i gruppi isolati di abete bianco occupano estese superfici. Il sottobosco è particolarmente povero per la difficoltà dei raggi solari di penetrare attraverso la barriera fitta di rami. Dove nel passato furono abbattute vaste superfici di bosco per creare prati e pascoli, si possono ora ammirare belle fioriture, primaverili e estive, di ranuncoli, di trifogli, di botton d’oro, di bistorta e di molte altre specie.Man mano che si sale, la presenza dell’abete rosso diventa sempre più sporadica e si incontra il larice alternato a pascoli. Il larice è una pianta facilmente adattabile a condizioni particolarmente difficili come il tipo di terreno e la ripidità dei versanti.La riserva ospita la tipica fauna alpina. Nelle vallate più basse è possibile incontrare camosci, cervi nobili, caprioli, volpi e mufloni, specie originaria della Sardegna e della Corsica e introdotta in questi luoghi nel 1971. Nei boschi può capitare di sorprendere qualche scoiattolo e, se assistiti da molta fortuna, la martora. A quote elevate è sempre possibile un incontro con la lepre bianca o con l’ermellino. Nell’area sono presenti tutte le specie di uccelli tipiche della montagna. Nei boschi si può ammirare il picchio nero, il francolino di monte, la nocciolaia, l’astore e lo sparviere. La coturnice, il gallo forcello e la pernice bianca vivono invece a quote più elevate.L’aquila reale perlustra regolarmente il territorio della riserva. È da segnalare infine la possibilità di scorgere, occasionalmente, il raro gallo cedrone.
VERSANTE NORD CAMPO DEI FIORI

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Nel Sito di Importanza Comunitaria (SIC) denominato “Versante Nord del Campo dei Fiori” (codice IT2010003), sulle aree sommitali, si possono ammirare estese faggete, querceti, boschi di tiglio e pareti rocciose calcaree, dove nidificano diversi rapaci e si scopre una rara vegetazione tipica degli ambienti rocciosi.Non meno interessanti i settori inferiori che ospitano due importanti zone umide: la torbiera del Carecc, vicino a Castello Cabiaglio, e il laghetto di Brinzio, dove ha sede il Consorzio di Gestione del Parco Regionale Campo dei Fiori.Oltre ad essere un SIC per la fauna e la flora presenti, quest’area è anche identificata come ZSC o Zona Speciale di Conservazione.Iniziamo dai settori inferiori e dalle zone umide.La torbiera del Carecc è un‘area umida in corso di interramento, tuttavia è ancora presente un residuo di vegetazione palustre e di sponda, sebbene minacciata dalla diffusione del frassino e della vegetazione igrofila interrante. In questa torbiera sono presenti alcune specie floristiche protette ai sensi della Legge Regionale n. 33 del 1977, quali Aquilegia atrata, Gentiana asclepiadea, Cyclamen purpurascens, Convallaria majalis, Galanthus nivalis. Per la fauna si segnala la presenza di una specie particolarmente rilevante sotto il profilo naturalistico, la Rana di Lataste.Il Lago di Brinzio è invece un piccolo specchio lacustre alimentato dal Torrente Intrino e dal Rio di Brinzio.Il lago è in progressivo interramento, soprattutto a causa della deviazione del Torrente Intrino avvenuta nell’800 per cause antropiche. Il Torrente Intrino, originariamente, confluiva nel Torrente Brivola, emissario del Lago di Brinzio. La sua immissione nel lago ha determinato un importante trasporto solido nel bacino favorendone l’interramento. Recentemente è stata predisposta una vasca di decantazione - poco prima dell’immissione del Torrente Intrino nel lago - ma questa non sembra aver risolto il problema e l’interramento prosegue veloce, tanto che le profondità del bacino sono ormai inferiori al metro.In parallelo, la vegetazione palustre, in particolare i cariceti, sta progressivamente invadendo il laghetto, le cui dimensioni si sono dimezzate negli ultimi decenni. Gli interventi di dragaggio del lago, di taglio della vegetazione palustre e di sistemazione dei dissesti sulle sponde del Torrente Intrino dovrebbero comunque rallentarne la chiusura.Sotto il profilo forestale l’elemento di maggiore interesse in quest’area è rappresentato dalla presenza dell’ontano nero e del salice cinerea.Il lago è un sito di particolare importanza per gli anfibi, ovvero rane, salamandre e rospi, che qui trovano le condizioni migliori per la riproduzione. In quest’area è inoltre possibile osservare uccelli di grande interesse quali l’Airone cinerino, la Gallinella d’acqua, il Porciglione, il Martin pescatore e la Ballerina gialla.Il settore superiore del massiccio vede invece affiorare in condizioni di reggipoggio la serie carbonatica Triassico-Liassica strutturata in due serie di pareti rocciose. Queste rupi calcaree sono caratterizzate da una vegetazione di notevole interesse, come la Primula auricula e la Primula hirsuta.Anche la fauna è degna di nota, in particolare i rapaci che qui nidificano tranquillamente essendo le pareti assai poco accessibili e quindi luoghi tranquilli e indisturbati per i nidi.In questo settore sono inoltre presenti alcune grotte non sfruttate turisticamente. Si tratta di una quindicina di cavità carsiche, tutte di modesta dimensione, appartenenti al sistema carsico del Campo dei Fiori, ampiamente sviluppato nel settore meridionale del massiccio. Non si segnalano popolamenti faunistici particolari nelle grotte, ad eccezione della Grotta dell’Allocco, occupata da una ricca popolazione di chirotteri.Di seguito il pannello illustrativo con i riferimenti del presente punto di interesse che troverete lungo il percorso e allegato in seguito.
RISERVA NATURALE LAGO GANNA

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Siamo nella Riserva Naturale Lago di Ganna, un'area protetta istituita dalla Regione Lombardia nel 1984. Quest’area rientra nel territorio del Parco Regionale Campo dei Fiori e rappresenta la più importante zona umida presente nel Parco.Questa area umida è costituita dal Lago di Ganna e dalla Torbiera del Pralugano, unitamente ai boschi igrofili e alle praterie che circondano i due piccoli specchi d'acqua.Il Lago di Ganna è un piccolo bacino posto all'interno della Valganna, una valle dal profilo trasversale a “U”, caratterizzata da rocce poco permeabili sulle quali sono deposti sedimenti di origine torbosa e limoso-argillosa. Nonostante la quota di soli 452 m slm questo lago presenta caratteristiche che lo accomunano ai laghi di montagna posti a quote assai maggiori. Ha una superficie di circa 60,000 m², un perimetro di circa 1 km, una profondità media di 2 m ed una massima di 4 m. Il tempo di ricambio delle acque è veloce, di poco superiore al mese e il suo principale immissario è costituito dal torrente Margorabbia.Grazie all'assenza di insediamenti industriali e alle piccole dimensioni dei centri abitati nell'ambito del proprio bacino imbrifero, le acque del lago sono particolarmente pulite.L'area del Lago di Ganna è caratterizzata da forti precipitazioni e temperature rigide che influiscono sulle caratteristiche del popolamento animale e vegetale.La Torbiera del Pralugano, posta a circa 540 m slm, è di particolare interesse per la sua vegetazione che rappresenta un mosaico di grande valore naturalistico e conservazionistico. Sono qui presenti specie rare come la Drosera intermedia, il Juncus bulosus, la Nynphaea alba subspecies minoriflora, le Rhynchospora alba e fusca, il Salix rosmarimnifolia, l’Utricalaria australis e numerose specie di sfagno. È insomma un luogo di grandissimo interesse per gli studiosi della vegetazione di torbiera e di zone umide, un vero laboratorio a cielo aperto.Fonte: (http://www.vareselandoftourism.com/it/17538/Il-lago-di-Ganna)
LA TORBIERA DI CAVAGNANO

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La Torbiera di Cavagnano è un’interessantissima area umida inserita nel contesto paesaggistico della Valceresio.Questa torbiera è ubicata in un’area pianeggiante, ai margini dell’abitato di Cavagnano, nel Comune di Cuasso al Monte, e si è sviluppata su un altopiano che domina la Val Cavallizza.La frazione di Cavagnano si trova in una posizione di notevole interesse ambientale e paesaggistico: infatti, i rilievi montuosi presenti mostrano versanti a bosco e a brughiera alternati ad aree destinate alle attività agricole.La peculiarità principale dell’area è però la vasta torbiera. Ma cos’è una torbiera?Le torbiere derivano da laghi o stagni che si sono colmati, nel corso di secoli o millenni, a causa del graduale accumulo di torba. La torba è un materiale che si origina dal progressivo deposito delle parti morte delle piante che crescono in un’area dove prevale e ristagna acqua, come appunto acquitrini, stagni e laghi. L’acqua stagnante e la conseguente carenza di ossigeno impediscono la completa decomposizione dei tessuti vegetali che nel tempo diventano torba, e si accumulano sul fondo, facendo progressivamente diminuire la profondità del bacino. In tal modo le piante delle rive si possono spingere più all'interno, riducendo la superficie dello specchio d'acqua fino a farlo scomparire del tutto.Nella torba pertanto sono presenti e ancora ben riconoscibili i resti dei vegetali che si sono nel tempo accumulati, come muschi, foglie, frammenti lignei, e campionandoli e classificandoli è possibile per naturalisti e geologi conoscere la vegetazione presente in passato nell’area dove è localizzata la torbiera e, se diversa da quella attuale, ricostruire l’ambiente o gli ambienti dove questa vegetazione cresceva e si sviluppava.Le torbiere sono quindi preziosi archivi dei cambiamenti ambientali e climatici avvenuti nel tempo in un’area.La Torbiera di Cavagnano, in particolare, rappresenta un’area di notevole rilevanza naturalistica per la presenza di habitat torbigeni non molto diffusi, considerati relitti delle fasi microtermiche postglaciali, la cui ricostituzione nelle condizioni climatiche attuali risulta difficile o impossibile.Si tratta di un’area dove cresce quindi una vegetazione ereditata dal passato che qui è riuscita a sopravvivere e giungere sino a noi.Un ottimo esempio di questi relitti microtermici post-glaciali sono le depressioni attribuibili al Rhynchosporion, sia per il grado di conservazione sia per la notevole estensione, non comune nella provincia di Varese. Con il termine Rhynchosporion si intende una vegetazione erbacea eliofila perenne di piccole dimensioni, con piante della famiglia Cyperaceae e del genere Rhyncospora, che si accompagna a piante carnivore del genere Drosera.Il ritrovamento di questa vegetazione nell’area di Cavagnano è quindi di grande interesse per botanici e naturalisti e ha sostenuto l’inserimento dell’area nella rete Natura 2000 rendendola Sito di Importanza Comunitaria. Il SIC è denominato “Torbiera di Cavagnano” ed è identificato dal codice IT2010020.Oltre ad essere SIC per la fauna e la flora presenti quest’area è anche identificata come ZSC o Zona Speciale di Conservazione.Si tratta quindi di un’area di grande interesse, dal punto di vista floristico ricca di specie microterme, e dal punto di vista faunistico che vede la presenza di due specie di grande rilevanza: la Rana di Lataste e il Tritone crestato meridionale. Oltre a queste specie sono presenti salamandre, altre varietà di rane e tritoni, il picchio verde, la poiana e diversi tipi di pipistrelli. Va anche detto che, nonostante il sito non sia inserito in un parco o in un’area protetta, attualmente in ottimo stato di conservazione.Di seguito il pannello illustrativo con i riferimenti del presente punto di interesse che troverete lungo il percorso e allegato in seguito.