Al margine meridionale dell'abitato di Grosio, il torrente Roasco piega improvvisamente verso meridione prima di gettarsi nell'Adda, ostacolato da una collina in rocce metamorfiche, arrotondata e levigata nel corso del Pleistocene dal ghiacciaio abduano.
Una doppia cerchia muraria in blocchi lapidei squadrati la corona, ornata da ben evidenti merlature: si tratta del complesso fortificato meglio conservato dell'intera provincia di Sondrio, costruito all'incrocio fra due antichi itinerari di grande importanza strategica, quello della Val Grosina e quello principale lungo il fondovalle valtellinese, diretto verso Bormio e da qui in Sud Tirolo.
Arrivando da meridione, appare per prima la costruzione più antica - nota già in un documento del 1150 come Castrum Grosii - le cui rovine si allungano trasversalmente al pendio, adattandosi alla morfologia della collina. Esistente forse già nel X secolo, il Castrum era controllato dal vescovo di Como, che estendeva il suo potere feudale in questo tratto della valle, e che ne aveva investito la famiglia dei de Venosta, così detta dall'originario feudo in Sudtirolo.
L'organizzazione interna della fortificazione, molto semplice, è solo ipotizzabile: tracce di ambienti rettangolari si susseguono lungo un corridoio centrale sino ai resti di una cappella, evidenziata dal piccolo campanile romanico, oggi restaurato, nonché dalle ben riconoscibili fondamenta dell'abside semicircolare. Da documenti medievali sappiamo che era dedicata ai Santi Faustino e Giovita - il cui culto era diffuso nel Comasco - e che esisteva indipendentemente dalla fortificazione; probabilmente sorse come ampliamento di un più antico oratorio altomedievale, a cui forse sono da ricondurre anche le due sepolture, di età imprecisata, scavate nella roccia davanti all'abside.
Proprio a questa chiesina si deve il nome corrente di "castello di San Faustino", con cui viene comunemente indicata la struttura fortificata.
Il nucleo fortificato principale, che domina la valle dalla sommità della collina, è però il cosiddetto Castrum Novum, o Castello Visconteo: esso venne costruito forse nella prima metà del XIV secolo da Azzone Visconti, signore di Milano, quando assoggettò Como e la Valtellina, e venne ampliato subito dopo. Da esso partì, nel 1376, l'esercito visconteo guidato da Giovanni Cane, per sedare la rivolta guelfa dell'alta valle: attraverso la Val Grosina e la Val Viola, sorprese alle spalle i valligiani, saccheggiando Bormio e le sue terre.
L'ingresso del castello si apre su un cortile principale, circondato da una cortina muraria dotata lungo il lato occidentale di due torri d'angolo e di una torre scudata; di queste, solo la torre meridionale mostra ancora la sua imponente struttura a tre piani. Tracce di edifici sono presenti a lato di essa, nonché presso l'ingresso settentrionale, a ridosso dell'altra torre angolare.
Una seconda cortina più esterna, costruita poco dopo lungo il pendio sudorientale, completa l'impianto difensivo, delimitando così un cortile inferiore, e dando al castello la fisionomia ben riconoscibile da lontano. Da essa scende in linea retta lungo il versante la Chiusa, una poderosa muraglia che serrava la valle sino all'Adda, a scopo sia difensivo che fiscale, dato che in sua corrispondenza era stabilito un pedaggio per chi transitava su quella sponda del fiume.
Assieme agli altri castelli della Valtellina, quello di Grosio fu in gran parte smantellato dai Grigioni, che nel 1512 avevano occupato il territorio: temevano infatti che potesse essere riutilizzato dalla popolazione locale come caposaldo per un'eventuale ribellione.
Del resto, il dosso di Grosio, con la sua posizione a lato di una via principale di commercio attraverso le Alpi, ma contemporaneamente facilmente difendibile, è stato considerato strategico sin dalla preistoria; nel cortile del castello più antico, infatti, gli scavi archeologici hanno portato alla luce un insediamento fortificato sviluppatosi qui dall'Età del Bronzo Medio-recente sino all'Età del Ferro.
Probabilmente esso è da collegarsi alle migliaia di incisioni rupestri coeve presenti sulle rocce lungo tutto il dosso, uniche nell'area lombarda per le loro caratteristiche, che evidenziano l'esistenza di una rete di comunicazioni regolari con la valle dell'Alto Reno e con il Tirolo già in epoca protostorica.
Sia il complesso fortificato medievale - raggiungibile a piedi e visitabile liberamente - sia l'area principale di affioramento delle incisioni rupestri sono oggi curati dal Parco delle Incisioni Rupestri di Grosio, a cui sono stati donati nel 1978 dalla proprietaria, la Marchesa Margherita Pallavicino Mossi Visconti-Venosta, moglie dell'ultimo discendente del lignaggio che per oltre 800 anni ha posseduto queste terre.
Di seguito il pannello illustrativo con i riferimenti del presente punto di interesse che troverete lungo il percorso e allegato in seguito.
per la parte archeologica medievale, articolo del convegno del 2015, pdf scaricabile all'indirizzo:
http://www.giorgiagentiliniarchitetto.com/wp-content/uploads/2016/09/Gentilini_vol1_Valtellina.pdf
Al margine meridionale dell'abitato di Grosio, il torrente Roasco piega improvvisamente verso meridione prima di gettarsi nell'Adda, ostacolato da una collina in rocce metamorfiche, arrotondata e levigata nel corso del Pleistocene dal ghiacciaio abduano.
Una doppia cerchia muraria in blocchi lapidei squadrati la corona, ornata da ben evidenti merlature: si tratta del complesso fortificato meglio conservato dell'intera provincia di Sondrio, costruito all'incrocio fra due antichi itinerari di grande importanza strategica, quello della Val Grosina e quello principale lungo il fondovalle valtellinese, diretto verso Bormio e da qui in Sud Tirolo.
Arrivando da meridione, appare per prima la costruzione più antica - nota già in un documento del 1150 come Castrum Grosii - le cui rovine si allungano trasversalmente al pendio, adattandosi alla morfologia della collina. Esistente forse già nel X secolo, il Castrum era controllato dal vescovo di Como, che estendeva il suo potere feudale in questo tratto della valle, e che ne aveva investito la famiglia dei de Venosta, così detta dall'originario feudo in Sudtirolo.
L'organizzazione interna della fortificazione, molto semplice, è solo ipotizzabile: tracce di ambienti rettangolari si susseguono lungo un corridoio centrale sino ai resti di una cappella, evidenziata dal piccolo campanile romanico, oggi restaurato, nonché dalle ben riconoscibili fondamenta dell'abside semicircolare. Da documenti medievali sappiamo che era dedicata ai Santi Faustino e Giovita - il cui culto era diffuso nel Comasco - e che esisteva indipendentemente dalla fortificazione; probabilmente sorse come ampliamento di un più antico oratorio altomedievale, a cui forse sono da ricondurre anche le due sepolture, di età imprecisata, scavate nella roccia davanti all'abside.
Proprio a questa chiesina si deve il nome corrente di "castello di San Faustino", con cui viene comunemente indicata la struttura fortificata.
Il nucleo fortificato principale, che domina la valle dalla sommità della collina, è però il cosiddetto Castrum Novum, o Castello Visconteo: esso venne costruito forse nella prima metà del XIV secolo da Azzone Visconti, signore di Milano, quando assoggettò Como e la Valtellina, e venne ampliato subito dopo. Da esso partì, nel 1376, l'esercito visconteo guidato da Giovanni Cane, per sedare la rivolta guelfa dell'alta valle: attraverso la Val Grosina e la Val Viola, sorprese alle spalle i valligiani, saccheggiando Bormio e le sue terre.
L'ingresso del castello si apre su un cortile principale, circondato da una cortina muraria dotata lungo il lato occidentale di due torri d'angolo e di una torre scudata; di queste, solo la torre meridionale mostra ancora la sua imponente struttura a tre piani. Tracce di edifici sono presenti a lato di essa, nonché presso l'ingresso settentrionale, a ridosso dell'altra torre angolare.
Una seconda cortina più esterna, costruita poco dopo lungo il pendio sudorientale, completa l'impianto difensivo, delimitando così un cortile inferiore, e dando al castello la fisionomia ben riconoscibile da lontano. Da essa scende in linea retta lungo il versante la Chiusa, una poderosa muraglia che serrava la valle sino all'Adda, a scopo sia difensivo che fiscale, dato che in sua corrispondenza era stabilito un pedaggio per chi transitava su quella sponda del fiume.
Assieme agli altri castelli della Valtellina, quello di Grosio fu in gran parte smantellato dai Grigioni, che nel 1512 avevano occupato il territorio: temevano infatti che potesse essere riutilizzato dalla popolazione locale come caposaldo per un'eventuale ribellione.
Del resto, il dosso di Grosio, con la sua posizione a lato di una via principale di commercio attraverso le Alpi, ma contemporaneamente facilmente difendibile, è stato considerato strategico sin dalla preistoria; nel cortile del castello più antico, infatti, gli scavi archeologici hanno portato alla luce un insediamento fortificato sviluppatosi qui dall'Età del Bronzo Medio-recente sino all'Età del Ferro.
Probabilmente esso è da collegarsi alle migliaia di incisioni rupestri coeve presenti sulle rocce lungo tutto il dosso, uniche nell'area lombarda per le loro caratteristiche, che evidenziano l'esistenza di una rete di comunicazioni regolari con la valle dell'Alto Reno e con il Tirolo già in epoca protostorica.
Sia il complesso fortificato medievale - raggiungibile a piedi e visitabile liberamente - sia l'area principale di affioramento delle incisioni rupestri sono oggi curati dal Parco delle Incisioni Rupestri di Grosio, a cui sono stati donati nel 1978 dalla proprietaria, la Marchesa Margherita Pallavicino Mossi Visconti-Venosta, moglie dell'ultimo discendente del lignaggio che per oltre 800 anni ha posseduto queste terre.
Di seguito il pannello illustrativo con i riferimenti del presente punto di interesse che troverete lungo il percorso e allegato in seguito.
per la parte archeologica medievale, articolo del convegno del 2015, pdf scaricabile all'indirizzo:
http://www.giorgiagentiliniarchitetto.com/wp-content/uploads/2016/09/Gentilini_vol1_Valtellina.pdf