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VAL VIOLA BORMINA

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Siamo in Val Viola, dove il paesaggio ricorda molto l’Islanda, sia per i ghiacciai e i pascoli che dominano la vista che per le piogge frequenti e più abbondanti rispetto alle condizioni medie dell’alta valle.Il settore glacializzato della Val Viola è localizzato alla testata della Val Viola Bormina ed è meglio conosciuto come Val Dosdè e Val Cantone di Dosdè.In quest’area, estesa altimetricamente tra i 2000 ed i 3300 m di quota, si concentrano gli apparati glaciali del gruppo Piazzi, ad esclusione del ghiacciaio Cima de Piazzi, che con le loro acque di fusione alimentano la fitta rete di torrenti e ruscelli che attraversano le aree a pascolo e a bosco sottostanti.I ghiacciai della Val Viola Bormina sono tutti di tipo montano (solo il Dosdè orientale, il più grande, è ancora dotato di una discreta lingua) e sono attualmente in fase di intenso regresso a seguito del riscaldamento climatico in atto. Si è, infatti, osservata una riduzione areale del 50% dal 1954 al 2007 e una contrazione volumetrica del 30% dal 1981 al 2007.Questa perdita areale e volumetrica è testimoniata anche dagli anfiteatri morenici recenti, perfettamente conservati nelle aree proglaciali di molti dei ghiacciai del gruppo.Sebbene le dimensioni medie degli apparati siano limitate, infatti solo il ghiacciaio del Dosdè orientale raggiunge un’area di quasi 1 km², le morfologie glaciali ed in particolare supraglaciali sono ben espresse ed esemplificative di forme altrimenti presenti solo su apparati di maggiori dimensioni.Infatti, possiamo osservare funghi di ghiaccio, torrenti epiglaciali, coni di ghiaccio, morene mediane, e depositi crioconitici.La Val Viola non solo è un’area di grande interesse per i ghiacciai presenti e per il paesaggio che nel tempo essi hanno modellato, ma è anche un vero e proprio laboratorio scientifico a cielo aperto.Sul Dosdè Orientale, nel 2008, sono state condotte le prime sperimentazioni italiane per valutare efficacia ed applicabilità delle coperture artificiali (definiti geotessili) per ridurre la fusione estiva di neve e ghiaccio. Questo studio ha permesso di valutare che la neve - quando protetta con un geotessile - vede ridotta la fusione anche del 60%, risultato interessante per tutte quelle situazioni in cui neve e ghiaccio vanno preservati (come ad esempio su ghiacciai usati per lo sci estivo). Sul Dosdè orientale, inoltre, per dieci anni (dal 2007 al 2017) è stata attiva una stazione meteorologica automatica supraglaciale e dal 2009, nell’area antistante il Rifugio Federico Valgoi, in Val Dosdè, è attiva una seconda stazione meteorologica automatica.Grazie a queste due stazioni è stato possibile investigare le condizioni meteorologiche d’alta quota e supraglaciali, informazioni fondamentali per valutare gli effetti del cambiamento climatico in atto e per modellare la fusione di neve e ghiaccio.Prestando particolare attenzione, lungo il percorso in Val Dosdè è anche possibile osservare, sotto il ponte che permette di passare dal lato destro a quello sinistro della valle, un idrometro ad immersione, strumento per misurare la quantità di acqua trasporta dal torrente alimentato dalle acque di fusione dei ghiacciai della Val Dosdè e della Val Cantone di Dosdè. L’idrometro è in funzione dall’estate 2009 e, insieme alle stazioni meteorologiche, rende la valle un vero e proprio laboratorio open air. I dati raccolti sono fondamentali per meglio comprendere e quantificare gli impatti dei cambiamenti climatici sulle Alpi lombarde e italiane. Descrizione del video:Val Viola Bormina, un percorso bellissimo che si snoda dapprima nel bosco e poi tra prati e pascoli. In questo settore della valle è possibile ammirare i ghiacciai della Val Viola, gli apparati Dosdè Centrale e Orientale, che insieme al Cima de Piazzi costituiscono il comprensorio Piazzi-Campo, e le manifestazioni del permafrost. 
Risalendo la strada per Postalesio, lungo il versante destro della Valtellina, e superato l'abitato, attorno a quota 750 circa i tornanti si spingono entro la valle laterale del torrente Caldenno, in località Il Prato; da qui parte uno dei più interessanti sentieri escursionistici della zona, segnalato per la possibilità che offre di gettare lo sguardo su di un panorama veramente curioso: addentrandosi a piedi lungo esso, infatti, a una curva appare all'improvviso un inaspettato scenario di guglie e pinnacoli, con grandi massi levigati appoggiati apparentemente in bilico su esili pilastri di terra.                                  Sono le "piramidi", bizzarre forme di erosione sviluppate su un deposito sedimentario estremamente eterogeneo, costituito da sabbia fine, limo, sabbia grossolana e ghiaia mescolate in un impasto compatto, quasi cementato, dal quale sporgono di tanto in tanto grandi blocchi arrotondati: è questo il tipico aspetto che assumono i depositi glaciali, che qui ammantano con una spessa coltre il versante appena sotto, annidati e protetti dallo sperone di roccia che costringe il torrente a una brusca curva.Dal sentiero, lo sguardo spazia verso la valle principale, che attorno a 18000 anni fa doveva essere occupata dal grande ghiacciaio abduano, e può immaginarlo, quando con la sua massa riempiva la Valtellina sino ai 2000 m di quota circa, alimentato nel suo percorso dalle lingue glaciali delle valli laterali. Soprattutto allo sbocco di queste ultime, i detriti trascinati lungo i fianchi della massa ghiacciata tendevano a deporsi, compattati dalla sua spinta contro ostacoli naturali quali sporgenze e anfratti lungo il versante.                                                            Ritiratosi definitivamente il ghiacciaio, il torrente ha inciso rapidamente i materiali da esso deposti, complessivamente poco resistenti, e le acque di ruscellamento hanno contribuito a rimuovere grano per grano quanto affiorava sulle superfici fresche, non più protette dalla vegetazione che nel frattempo aveva riconquistato i versanti, stabilizzandoli.                                                                            Una miriade di rivoletti d'acqua si incanalava man mano, incidendo fitti solchi convergenti verso il fondovalle, separati da sottili diaframmi di materiale forse solo un poco più compatto. Quando l'erosione metteva allo scoperto un blocco di maggiori dimensioni, questo agiva da scudo per i detriti sottostanti, proteggendoli dall'azione delle acque.                                                                                       Così, mentre il lavorio procedeva tutt'attorno, sotto i blocchi isolati resistevano ampie porzioni di sedimento, modellate in ardite colonne isolate.                                                                                          Questo tipo di erosione può continuare sino a che c'è deposito glaciale da "scolpire".Mentre le piramidi più vecchie a poco a poco si assottigliano sino a far crollare il blocco che le ha generate, divenendo facile preda dello smantellamento, altre se ne formano a fianco; il fronte dell'erosione stesso si espande lateralmente, mangiando via via porzioni di boscaglia, e modellando nuove forme nel terreno denudato.Anche a Postalesio quindi le piramidi di terra sono una morfologia tanto spettacolare quanto effimera, destinate a perire per mano dello stesso agente che le ha generate; ma il loro paesaggio nel complesso si mantiene, in un continuo divenire di forme che nascono, si evolvono, si disgregano, perché il fenomeno che le genera è tutt'ora in atto, legato alle condizioni geologiche e climatiche attuali.                                            Così, i visitatori che si inoltrano lungo il comodo sentiero attrezzato per immergersi nel cuore del paesaggio delle piramidi, vedono uno spettacolo molto diverso da quello che si presentava ai nostri antenati, o che vedranno i nostri nipoti; il fascino di questa località nascosta entro una valle laterale è proprio in questo farci entrare nel vivo dei fenomeni in atto nel modellare il territorio.Descrizione del video:Le Piramidi di Terra di PostalesioUn angolo di paesaggio particolare e suggestivo, le Piramidi di Terra di Postalesio sono considerate importanti sia dal punto di vista geologico-geomorfologico, ma anche estetico e culturale; vengono quindi considerati dei geositi, inclusi tra i geositi della provincia di Sondrio ma anche nell’inventario nazionale dei geositi dell’ISPRA.Come si originano le Piramidi di TerraLe Piramidi di Terra di Postalesio sono forme del paesaggio derivanti dall'azione dell'acqua che scorre libera lungo il versante, definita acqua dilavante. Sono quindi delle forme di erosione o di incisione, e non sono invece delle forme di costruzione, ovvero non derivano dall'accumulo di materiali. 
Il Parco delle Incisioni Rupestri di Grosio permette di osservare uno dei gruppi più significativi fra le migliaia di figurette incise - in più fasi successive e con stili diversi - dagli antichi abitatori della Valtellina sulle rocce affioranti lungo tutto il promontorio che si estende dal Dosso Giroldo sino ai castelli Visconti Venosta, a sudest di Grosio: uno sperone roccioso allungato parallelamente al versante, che si innalza per quasi 130 m, costringendo il Torrente Roasco a piegare bruscamente a angolo retto al suo sbocco nella valle dell'Adda.L'intero dosso è stato modellato nelle filladi - una roccia metamorfica grigia striata da vene quarzose bianche - dall'azione erosiva del Ghiacciaio dell'Adda, che durante il Quaternario ha più volte invaso la Valtellina scendendo sino alla Pianura Padana: non solo le sue forme appaiono arrotondate e allungate secondo il flusso della lingua glaciale, ma le superfici ripulite della cotica erbosa dagli archeologi mostrano lunghi solchi e ondulazioni a fondo arrotondato, ampie sino a parecchi decimetri, a cui si sovrappone una fitta striatura solo localmente interrotta dai livelli quarzosi, più resistenti. E' questo l'aspetto tipico delle cosiddette rocce montonate, risultato del lavorio di incisione operato dai detriti trascinati alla base del ghiacciaio, e premuti contro la roccia da una massa di oltre 1500 m di ghiaccio.Il percorso museale all'aperto è incentrato sulla grande roccia a dosso di balena che spicca, ben visibile anche dal fondovalle, a lato della sella sopra la Centrale Elettrica di Roasco: nota come Rupe Magna per le sue notevoli dimensioni - 84 m di lunghezza e un'altezza di circa 35 m - essa rappresenta una delle più grandi superfici incise delle Alpi.Oltre a un gran numero di coppelle - incavi emisferici di pochi centimetri, dal significato ancora dibattuto - e altri elementi simbolici, spiccano qui le numerose figure antropomorfe, singole o in gruppi, e spesso sovrapposte e intersecantesi, a testimonianza di più fasi successive; questo elemento è indicativo del fatto che, come gran parte delle incisioni rupestri note, anche queste dovevano avere una funzione non tanto "artistica" o "decorativa", bensì cultuale: il sito, alto sulla valle e isolato, doveva essere nei primi millenni avanti Cristo una sorta di santuario riconosciuto dalle genti di un ampio circondario, e forse anche dai viandanti che lungo la Valle Poschiavina attraversavano le Alpi sino a qui.Sulla base degli stili che si succedono nel sito, e per confronto con analoghe incisioni della Valle Camonica, le figure antropomorfe vengono oggi datate a un periodo compreso fra l'Età del Bronzo Medio (metà del II millennio a.C.) - periodo a cui risale anche l'insediamento individuato entro il vicino castello - e l'Età del Ferro (VI secolo a.C.); oltre a scene di caccia, spiccano le tipiche figure di "oranti", con le braccia levate verso l'alto, fra cui di particolare interesse il gruppo dei sei cosiddetti "oranti saltici" - cioè danzanti - con in mano un piccolo scudo e un'arma corta, e di maggiori dimensioni rispetto agli altri, nonché una figura antropomorfa con gambe e braccia collegate direttamente, senza il busto, definita "antropio", presente sia qui che sul soprastante Dosso Giroldo.Le incisioni di Grosio sono state scoperte a partire dal 1966 da un ricercatore locale, Davide Pace, asportando via via la crosta di muschi e licheni che nascondeva la roccia; ripulite ripetutamente da coperture simili, le superfici mostrano tutt'oggi la tendenza a ricoprirsi di patine nerastre costituite da batteri, alghe, funghi e licheni, e necessitano quindi di una continua cura e tutela.Il Parco delle Incisioni è raggiungibile salendo a piedi lungo una breve mulattiera che si stacca sulla sinistra subito oltre la Centrale Elettrica, andando vero il centro del paese, e comprende un'esposizione museale dei reperti rinvenuti negli scavi; da esso sono inoltre raggiungibili i due castelli, la cui visita è libera. Contatti:Indirizzo: Via San Faustino – 23033 Grosio (SO)             Cellulare: +39 (0) 346 333 1405E-mail: info@parcoincisionigrosio.it Descrizione video:Il Parco delle Incisioni Rupestri dei comuni di Grosio e Grosotto con la sua Rupe Magna, i Castelli Visconteo e di San Faustino, sono nel loro insieme un luogo unico perché qui si assommano l'azione della natura e dell'uomo a dare un paesaggio veramente meraviglioso.Rupe MagnaMuschi e licheni hanno a lungo nascosto preziosissime incisioni rupestri tornate alla luce grazie all’occhio attento di Davide Pace nel 1966.Il Castello di San FaustinoIl Castrum Grosii o Castello Vecchio o anche chiamato Castello di San Faustino risale al X-XI secolo d.C.: più che un'opera difensiva si pensa fosse un'opera per affermare il potere dell'allora feudatario dei due centri abitati di Grosio e Grosotto.Il Castello VisconteoIl Castrum Novum o Castello Nuovo o Castello Visconteo, costruito fra il 1350 e il 1375 dalla famiglia Visconti: la sua posizione strategica era già nota dalla protostoria.
CASTELLI DI GROSIO

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Al margine meridionale dell'abitato di Grosio, il torrente Roasco piega improvvisamente verso meridione prima di gettarsi nell'Adda, ostacolato da una collina in rocce metamorfiche, arrotondata e levigata nel corso del Pleistocene dal ghiacciaio abduano.Una doppia cerchia muraria in blocchi lapidei squadrati la corona, ornata da ben evidenti merlature: si tratta del complesso fortificato meglio conservato dell'intera provincia di Sondrio, costruito all'incrocio fra due antichi itinerari di grande importanza strategica, quello della Val Grosina e quello principale lungo il fondovalle valtellinese, diretto verso Bormio e da qui in Sud Tirolo.Arrivando da meridione, appare per prima la costruzione più antica - nota già in un documento del 1150 come Castrum Grosii - le cui rovine si allungano trasversalmente al pendio, adattandosi alla morfologia della collina. Esistente forse già nel X secolo, il Castrum era controllato dal vescovo di Como, che estendeva il suo potere feudale in questo tratto della valle, e che ne aveva investito la famiglia dei de Venosta, così detta dall'originario feudo in Sudtirolo.L'organizzazione interna della fortificazione, molto semplice, è solo ipotizzabile: tracce di ambienti rettangolari si susseguono lungo un corridoio centrale sino ai resti di una cappella, evidenziata dal piccolo campanile romanico, oggi restaurato, nonché dalle ben riconoscibili fondamenta dell'abside semicircolare. Da documenti medievali sappiamo che era dedicata ai Santi Faustino e Giovita - il cui culto era diffuso nel Comasco - e che esisteva indipendentemente dalla fortificazione; probabilmente sorse come ampliamento di un più antico oratorio altomedievale, a cui forse sono da ricondurre anche le due sepolture, di età imprecisata, scavate nella roccia davanti all'abside.Proprio a questa chiesina si deve il nome corrente di "castello di San Faustino", con cui viene comunemente indicata la struttura fortificata.Il nucleo fortificato principale, che domina la valle dalla sommità della collina, è però il cosiddetto Castrum Novum, o Castello Visconteo: esso venne costruito forse nella prima metà del XIV secolo da Azzone Visconti, signore di Milano, quando assoggettò Como e la Valtellina, e venne ampliato subito dopo. Da esso partì, nel 1376, l'esercito visconteo guidato da Giovanni Cane, per sedare la rivolta guelfa dell'alta valle: attraverso la Val Grosina e la Val Viola, sorprese alle spalle i valligiani, saccheggiando Bormio e le sue terre.L'ingresso del castello si apre su un cortile principale, circondato da una cortina muraria dotata lungo il lato occidentale di due torri d'angolo e di una torre scudata; di queste, solo la torre meridionale mostra ancora la sua imponente struttura a tre piani. Tracce di edifici sono presenti a lato di essa, nonché presso l'ingresso settentrionale, a ridosso dell'altra torre angolare.Una seconda cortina più esterna, costruita poco dopo lungo il pendio sudorientale, completa l'impianto difensivo, delimitando così un cortile inferiore, e dando al castello la fisionomia ben riconoscibile da lontano. Da essa scende in linea retta lungo il versante la Chiusa, una poderosa muraglia che serrava la valle sino all'Adda, a scopo sia difensivo che fiscale, dato che in sua corrispondenza era stabilito un pedaggio per chi transitava su quella sponda del fiume.Assieme agli altri castelli della Valtellina, quello di Grosio fu in gran parte smantellato dai Grigioni, che nel 1512 avevano occupato il territorio: temevano infatti che potesse essere riutilizzato dalla popolazione locale come caposaldo per un'eventuale ribellione.Del resto, il dosso di Grosio, con la sua posizione a lato di una via principale di commercio attraverso le Alpi, ma contemporaneamente facilmente difendibile, è stato considerato strategico sin dalla preistoria; nel cortile del castello più antico, infatti, gli scavi archeologici hanno portato alla luce un insediamento fortificato sviluppatosi qui dall'Età del Bronzo Medio-recente sino all'Età del Ferro.Probabilmente esso è da collegarsi alle migliaia di incisioni rupestri coeve presenti sulle rocce lungo tutto il dosso, uniche nell'area lombarda per le loro caratteristiche, che evidenziano l'esistenza di una rete di comunicazioni regolari con la valle dell'Alto Reno e con il Tirolo già in epoca protostorica.Sia il complesso fortificato medievale - raggiungibile a piedi e visitabile liberamente - sia l'area principale di affioramento delle incisioni rupestri sono oggi curati dal Parco delle Incisioni Rupestri di Grosio, a cui sono stati donati nel 1978 dalla proprietaria, la Marchesa Margherita Pallavicino Mossi Visconti-Venosta, moglie dell'ultimo discendente del lignaggio che per oltre 800 anni ha posseduto queste terre. per la parte archeologica medievale, articolo del convegno del 2015, pdf scaricabile all'indirizzo:http://www.giorgiagentiliniarchitetto.com/wp-content/uploads/2016/09/Gentilini_vol1_Valtellina.pdf Descrizione video:Si trovano in posizione dominante sul promontorio che sovrasta i paesi di Grosotto e Grosio. I castelli di S. Faustino, detto anche Castello Vecchio, e il Castello Visconti Venosta noto anche come Castello Nuovo, sono compresi nel Parco delle incisioni rupestri di Grosio e facilmente raggiungibili a piedi in breve tempo.In fondo accederete al video immersivo, attraverso il quale potrete visitare i castelli godendo di un'esperienza unica.
Immerso nel Parco Nazionale dello Stelvio, nel settore più elevato della Valle di Fraele, l’itinerario dei laghi di Cancano circumnaviga gli invasi artificiali di San Giacomo e di Cancano, un percorso lungo 19 km e adatto per tutta la famiglia in quanto non prevede particolari difficoltà e presenta pochi dislivelli.Questi invasi sono l'elemento di regolazione stagionale del sistema idroelettrico dell'intera Valtellina e sono caratterizzati da un elevato valore di capacità ad elevata quota e infatti complessivamente superano i 180 milioni di metri cubi corrispondenti a 620 GWh di energia accumulata. Sono stati progettati nei primi decenni del Novecento dall'allora AEM per sopperire alla crescente domanda di energia elettrica. I lavori terminarono nel 1950 per l’invaso di San Giacomo e nel 1956 per la diga di Cancano, quest'ultima riconoscibile per la sua struttura ad arco e costruita per sostituire il precedente sbarramento risalente al 1922 e ampliare così la capacità degli invasi.Il lago di San Giacomo, che è l'invaso posto a quota superiore, è alimentato dalle acque dello Spol, dell'Adda (che sorge non lontano da qui) e dei torrenti Alpe, Gavia, Frodolfo, Zebrù, Braulio e Forcola. A sua volta poi il lago di San Giacomo con le acque del torrente Viola alimenta l'invaso di Cancano.Tre curiosità. La prima: l'invaso di San Giacomo con una capacità di 64 milioni di metri cubi, all'epoca fu annoverato come lo sbarramento più grande d'Europa per il volume di calcestruzzo impiegato per la sua realizzazione.Seconda curiosità: fu costruita anche una filovia per trasportare sia i materiali che gli addetti ai lavori da Tirano fin qua, un percorso lungo 66 km e un dislivello di ben 1500 metri; il primo tratto percorso dai famosi filocar e gli ultimi 7 km tramite teleferica che portava fino a quota 1950 metri.Terza curiosità: fu costruito anche un villaggio per ospitare gli operai, Digapoli, di cui si possono vedere ancora i ruderi in quanto fu poi sommerso dall'acqua. Infatti, nei periodi più siccitosi o durante gli svuotamenti parziali e controllati degli invasi, riemergono sia i ruderi, ma anche la vecchia centrale idroelettrica e la chiesetta localizzata nella zona più a monte dell’invaso di San Giacomo.Questo percorso quindi ci permette di ammirare questi due imponenti invasi e un panorama piuttosto insolito per le nostre Alpi, che richiama paesaggi tipici del grande Nord.La valle di Fraele rappresenta un'area di grandissimo interesse geologico e naturalistico. Per quanto riguarda la geologia, ci troviamo nel settore delle Alpi chiamato Dolomiti interne. Dolomiti interne perché per tipologia e origine le rocce qui presenti sono confrontabili con quelle delle Dolomiti vere e proprie. La natura carbonatica del substrato governa buona parte della vegetazione presente. Qui troviamo veri e propri boschi di pino uncinato, che è la versione a portamento arboreo del pino mugo, e possiamo anche osservare in alcuni periodi dell'anno delle fioriture ricchissime altrimenti ammirabili solo nei settori prealpini, e non in quelli alpini veri e propri. Per quanto riguarda la fauna questa porzione delle Alpi è nota proprio per l'abbondanza di Lepre bianca.Altro elemento di pregio è la Via del Sale e del Vino, a monte dei bacini artificiali di Cancano e San Giacomo. Infatti, questa mulattiera costituisce un tratto dell'antica strada imperiale di Alemagna che permetteva a Bormio di portare il vino di Valtellina in Baviera e in Austria, e lungo questa stessa mulattiera arrivavano invece a Bormio carichi di sale dalla miniera di Hall. Quindi i commerci erano fitti e fiorenti; ricordiamoci che fino al 1487 Bormio ha avuto il monopolio per i vini di Valtellina, gestendone quindi il commercio. Oggi è possibile percorrere la mulattiera, visitare la Val Mora e poi raggiungere la Val Monastero in Svizzera, risalire al Passo di Santa Maria e da qui raggiungere il Passo dello Stelvio attraverso un itinerario diverso da quello classico.È interessante osservare il rapporto stretto uomo e natura, che ci è testimoniato da questo territorio: l'Antica mulattiera e quindi gli antichi commerci che qui venivano svolti, l'attività di pascolo che attualmente è molto presente, e la produzione di energia idroelettrica; ma anche i nomi ci testimoniano il rapporto stretto tra uomo e natura: questa è la valle di Fraele, il cui nome deriva da ferro, per le miniere di ferro che nei tempi passati erano qui presenti e utilizzate. Descrizione video:Le dighe di San Giacomo e di CancanoProgettati nei primi decenni del Novecento dall'allora AEM per sopperire alla crescente domanda di energia elettrica, sono l'elemento di regolazione stagionale del sistema idroelettrico dell'intera ValtellinaI laghi di San Giacomo e di CancanoImmerso nel Parco Nazionale dello Stelvio, nel settore più elevato della Valle di Fraele, l’itinerario dei laghi di Cancano circumnaviga gli invasi artificiali di San Giacomo e di Cancano, un percorso lungo 19 km e adatto per tutta la famiglia in quanto non prevede particolari difficoltà e presenta pochi dislivelli. Oltre alle imponenti opere dell’uomo, la valle di Fraele rappresenta un'area di grandissimo interesse geologico e naturalistico.Val MoraA monte dei bacini artificiali di Cancano e San Giacomo, parte la Via del Sale e del Vino, una mulattiera che costituisce un tratto dell'antica strada imperiale di Alemagna che permetteva il commercio fra Bormio e la Baviera e l’Austria. Oggi è possibile percorrere la mulattiera, visitare la Val Mora e poi raggiungere la Val Monastero in Svizzera, risalire al Passo di Santa Maria e da qui raggiungere il Passo dello Stelvio attraverso un itinerario diverso da quello classico.
DECAUVILLE VALDIDENTRO

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La cosiddetta “Decauville” della Valdidentro è un bellissimo itinerario su strada sterrata lungo circa 10 km, quasi del tutto pianeggiante, fruibile in ogni periodo dell’anno ma specialmente in estate è ideale sia per una rilassante camminata che per una tranquilla escursione in mountain bike. Collega le Torri di Fraele con Arnoga e offre un’ampia panoramica sulle vallate sottostanti, attraversa un bosco di abeti e ci permette di ammirare sia bellissimi alpeggi che i ghiacciai sul versante nord di Cima de Piazzi.Il punto di partenza si trova sul tragitto che conduce ai laghi di Cancano: pochi tornanti prima di raggiungere le torri di Fraele, sulla sinistra, si dirama una strada sterrata da cui inizia il cammino. La strada si sviluppa a mezza costa sulla montagna e, se la si percorre interamente, si giunge fino alla località Arnoga da cui parte la Val Viola. Ovviamente il percorso si può intraprendere anche nella direzione opposta.Il nome di questo itinerario non è certamente tipico della zona, è infatti un tributo a Paul Decauville, inventore francese e pioniere delle ferrovie leggere. La sua invenzione fondamentale è stata la ferrovia a scartamento ridotto costruita a tratti brevi già montati con le traversine. Queste porzioni di ferrovia potevano essere montate e smontate facilmente nonché trasportate con agilità grazie al loro modesto peso. Le ferrovie Decauville sono usate quasi esclusivamente per il trasporto di merci quali minerali, legno, torba, argilla e sabbie. Tradizionalmente era caratterizzata dai binari leggeri posati con poca cura e da treni formati da vagoni a due assi con cassa con sezione a V basculante sui due lati per lo scarico del materiale. Le ferrovie Decauville hanno avuto un utilizzo esteso nell'industria del primo 1900, per il trasporto sia all'esterno sia all'interno degli stabilimenti industriali. Attualmente sono ferrovie moderne, percorse da grosse locomotive, i veicoli sono spesso dotati di gancio automatico, le rotaie sono adatte a sostenere grossi carichi.Questo tipo di ferrovia, essendo facilmente smontabile, venne costruita anche a Valdidentro negli anni 60 per trasportare il materiale proveniente dalle dighe di Cancano fino ad Arnoga. Oggi questa ferrovia non è più presente ma è rimasto un bellissimo sentiero pianeggiante fruibile da tutti. Descrizione del video:La cosiddetta “Decauville” della Valdidentro è un bellissimo itinerario su strada sterrata lungo circa 10 km, quasi del tutto pianeggiante, fruibile in ogni periodo dell’anno ma specialmente in estate è ideale sia per una rilassante camminata che per una tranquilla escursione in mountain bike. 
Percorrendo la Ciclovia dell'Energia si raggiunge l’antica centrale idroelettrica in località Grosotto in provincia di Sondrio.La Ciclovia dell’Energia si compone di tre percorsi, distinti per tipologia e tracciato, in grado di soddisfare le esigenze di chiunque approcci la montagna: famiglie, amatori e sportivi. Questa ciclovia si integra perfettamente nel territorio permettendo di ammirare bellissimi paesaggi e scoprire siti d’interesse naturalistico ma anche architettonico-culturale. La Ciclovia dell'Energia nasce in risposta all'esigenza di valorizzare anche dal punto di vista turistico e sportivo il territorio valtellinese interessato dalla presenza degli impianti di produzione di energia idroelettrica di A2A.La centrale idroelettrica di Grosotto è stata costruita agli inizi del secolo scorso e la sua storia è affascinante perché permette di conoscere meglio un pezzettino di storia di tutto l'idroelettrico di Lombardia e in particolare della città di Milano.La storia inizia a Milano nel 1905 quando viene costruita la centrale termoelettrica di piazza Trento. Da subito il comune si rende conto che non è sufficiente a soddisfare i bisogni energetici della città in espansione e a renderla indipendente dal punto di vista energetico. Iniziano quindi le ricerche di sorgenti idriche utilizzabili per la produzione di energia idroelettrica proprio per rendere autonoma la città di Milano.Le ricerche vengono condotte grazie anche alla collaborazione di Cesare Saldini e di Giuseppe Ponzio e portano a identificare qui nell’alta Valtellina nella provincia di Sondrio la località ideale per soddisfare questo bisogno idrico.Già nel 1906 iniziano le operazioni per acquisire le concessioni d'acqua e inizia la progettazione di questa centrale idroelettrica nel comune di Grosotto collegata con una lunga linea ad alta tensione con la città di Milano.La progettazione avviene grazie agli sforzi di tre ingegneri e professori del Politecnico di Milano: Gaudenzio Fantoli che ha progettato le derivazioni, Giacinto Motta che si è dedicato alla parte elettromeccanica e Carlo Mina per il settore idraulico ed edilizio.Nel 1909 l'opera è quasi completata e il comune di Milano fonda l'azienda energetica municipale (AEM). La fondazione viene formalizzata l'8 dicembre del 1910 quando già la centrale e la linea di collegamento ad alta tensione erano attive.L'acqua per alimentare questa centrale, nel 1910 ed oggi, è quella del fiume Adda. Viene captata nella località Le Prese del comune di Sondalo (SO), ad una quota di 948 m, e giunge qui con un canale in galleria lungo ben 12 km, tutto sul settore orografico sinistro di questa valle.Landmark industriale dell’impresa, la centrale di Grosotto, con la sua architettura policroma e il suo aspetto austero, è uno dei luoghi più importanti della storia di AEM, testimonianza vivente della volontà di una coesa classe dirigente di cooperare per la modernizzazione del nostro Paese.  https://www.cicloviadellenergia.eu/https://fondazioneaem.it/centrale-idroelettrica-grosio/ Descrizione del video:Percorrendo la Ciclovia dell'Energia si raggiunge l’antica centrale idroelettrica in località Grosotto in provincia di Sondrio: costruita agli inizi del secolo scorso è uno dei luoghi più importanti della storia di AEM, testimonianza vivente della volontà di una coesa classe dirigente di cooperare per la modernizzazione del nostro Paese.
I terrazzamenti sono un esempio di architettura primitiva, ma attuale, riconosciuti come “Paesaggio Rurale Storico”, la cui “arte di costruzione” è annoverata come Patrimonio Immateriale dell’Umanità dal 2018.Sono porzioni di territorio sub-orizzontale delimitati da muretti a secco che l’uomo sin dall'antichità ha sottratto alla montagna. I versanti montani ripidi e scoscesi, infatti, non sono adatti per coltivare, ma costruendo questi muretti a secco e contenendo il terreno, è stato possibile sin dal IX secolo a Delebio e poi man mano nel resto della Valtellina (per esempio dal 1500-1600 tra Grosio e Grosotto) sottrarre territorio alla montagna e renderlo coltivabile.I terrazzamenti permettono la coltivazione della vite: 2500 km di muretti a secco sorreggono la viticoltura valtellinese con 820 ettari coltivati, distribuiti su pendii rocciosi che si estendono sul versante retico, da ovest a est (dal comune di Buglio in Monte a quello di Tirano), dal basso verso l’alto (dai 300 m fino a sfiorare gli 800 m). Ma veniva coltivato anche il castagno (la porzione pianeggiante permette di contenere i ricci e i frutti durante la loro caduta). Sono quindi la testimonianza di un antichissimo lavoro di viticultura, quella che oggi viene definita eroica, alla quale si devono vini pregiatissimi e marcatamente identitari quali il Sassella, l’Inferno e lo Sforzato, e che Ermanno Olmi ha celebrato nel 2009 con il documentario Rupi del vino.Sono un esempio del rapporto intenso tra l'uomo e la montagna, di relazione continua tra la natura aspra e la caparbietà di chi la vive: i muretti a secco sono vere e proprie opere di ingegneria contadina e rappresentano un modello storico e riuscito di antropizzazione del paesaggio alpino.Nella zona di Grosio e Grosotto in particolare, nel XVI e XVII secolo i muretti a secco sono stati costruiti con il materiale derivante dai Castelli Visconti e di San Faustino. Infatti, nel 1526 il governatore grigionese delle Tre Leghe, l’allora signore della Valtellina, decise di annientare tutte le fortificazioni della valle. Di conseguenza le pietre che costituivano le mura di questi castelli venivano riciclati per costruire appunto questi terrazzamenti.Per poterli ammirare da vicino, si può percorrere la Via dei Terrazzamenti, situata sul versante più solivo della Valtellina, quello delle Alpi Retiche, ad una quota compresa tra i 300 e i 700 m. È un percorso ciclopedonale lungo 70 km che collega Morbegno a Tirano dove godere di alcuni scorci panoramici particolarmente suggestivi, con numerose aree di sosta che punteggiano il percorso, e scoprire un immenso patrimonio culturale: chiese, siti preistorici (come il Parco delle Incisioni Rupestri di Grosio e Grosotto), cantine rurali, agriturismi e antichi borghi. Si può percorrere a piedi o in bici (anche a pedalata assistita, grazie a una rete estesa di punti di noleggio e ricarica batterie), integralmente o limitandosi a tratti parziali.La Via dei Terrazzamenti è inoltre interessata anche dal passaggio del Cammino mariano delle Alpi, un itinerario di trekking tra i luoghi di culto mariano della Valtellina. Descrizione video:I terrazzamenti sono un esempio di architettura primitiva, ma attuale, riconosciuti come “Paesaggio Rurale Storico”, la cui “arte di costruzione” è annoverata come Patrimonio Immateriale dell’Umanità dal 2018.
Oltre trecento anni di grande collezionismo rendono Villa Carlotta un luogo di rara bellezza dove la Natura e le opere dell'uomo convivono in perfetta armonia.Affacciata sulle rive del lago di Como Villa Carlotta fu costruita alla fine del Seicento dai marchesi Clerici di Milano. Nel 1801 la proprietà passò a Giovanni Battista Sommariva, all’epoca presidente del Comitato di Governo della Repubblica Cisalpina (1797-1802) istituita da Napoleone Bonaparte in Italia settentrionale. L’ingente patrimonio accumulato da Sommariva nel corso della sua folgorante carriera politica gli consentì di coltivare la sua immensa passione per le arti, e in particolare per la scultura, a cui si devono le acquisizioni di opere di Antonio Canova e Berthel Thorvaldsen. Nel 1843 la villa fu venduta dagli eredi Sommariva alla principessa Marianna di Prussia che, nel 1850, donò la dimora alla figlia Carlotta (da cui prese il nome la villa) in occasione delle sue nozze con il duca Giorgio II di Sassonia-Meiningen (1826-1914). La principessa Carlotta (1831-1855) e suo marito diventano i nuovi proprietari della villa. Nei decenni successivi la dimora viene adeguata alle esigenze familiari e ai cambiamenti del gusto, rinnovando arredi e decorazioni. Gli interventi più importanti vengono realizzati nelle sale di rappresentanza dove l’abilità tecnica e l’inventiva di Lodovico Pogliaghi (1857-1950), trasforma gli ambienti secondo il gusto dell’epoca. L’impronta del padrone di casa emerge anche negli acquisti destinati all’arredo della villa, ora riproposto al pubblico nelle stanze al secondo piano del museo. Nonostante la precoce scomparsa della principessa Carlotta nel 1855, Giorgio II continuò a frequentare la dimora sul lago di Como arricchendo il parco di numerose essenze botaniche rare che si possono ammirare ancora oggi. Nel corso della Prima Guerra Mondiale la villa venne confiscata dallo Stato italiano e affidata in gestione all'Ente Villa Carlotta, istituito con Regio Decreto nel 1927.Oltre al patrimonio artistico, Villa Carlotta è famosa anche per le sue bellezze naturali. L'estate regala uno scenario impareggiabile con le fioriture di ortensie, rose e di altre molteplici varietà sulle scogliere e nelle aiuole. I pergolati di agrumi regalano profumi intensi e colori sgargianti. Possiamo infatti passeggiare lungo due tunnel di agrumi fra cedri, chinotti, mandarini, aranci amari, limoni, pompelmi, bergamotti e cedri. Come è possibile poter coltivare (non in vaso) piante di agrumi nel nord Italia caratterizzato da un clima più freddo? Questo è possibile proprio grazie al lago. Questo dipende dal fatto che per riscaldare una determinata massa d’acqua sia necessario più calore di quanto ne occorra normalmente per altre sostanze, a parità di massa e a parità di aumento della temperatura. Viceversa, quando l’acqua si raffredda anche solo di un grado centigrado, emette più calore di quanto ne rilascino le altre sostanze. Questo fenomeno dipende da una grandezza fisica chiamata “calore specifico”, che è maggiore per l’acqua rispetto alle altre sostanze come per esempio la sabbia. Ecco, infatti, perché in estate di notte l’acqua del mare ci sembri più calda della sabbia della spiaggia. Le grandi masse d’acqua quindi di giorno si riscaldano assorbendo grosse quantità di calore che emettono poi di notte raffreddandosi lentamente e mitigando così il clima. È per questo che i luoghi prossimi al mare o al lago godono solitamente di un clima più mite e con minori differenze di temperatura fra il giorno e la notte e fra l’estate e l’inverno, creando di conseguenza un microclima idoneo per la coltivazione degli agrumi.A Villa Carlotta è inoltre presente la pianta più antica vivente sulla Terra: la felce arborea risalente addirittura al Paleozoico, oltre 300 milioni di anni fa, ancora prima dei dinosauri. Da questa pianta prende il nome una delle piccole valli presenti nel parco della villa, dove sono presenti esemplari di Dicksonia antarctica, originari dal sud-est dell’Australia.Inoltre, la bellezza del parco di Villa Carlotta non è dovuta solo alla ricchezza di alcune collezioni (tra le altre quelle di rododendri e azalee) e al sapiente allestimento paesaggistico, ma anche alla presenza di alcune alberature monumentali, che con la loro silente presenza conferiscono maestosità e carattere al giardino. Info e costi per visitare la villa sono disponibili al link https://www.villacarlotta.it/it/ Descrizione video:IngressoOltre trecento anni di grande collezionismo rendono Villa Carlotta un luogo di rara bellezza dove la Natura e le opere dell'uomo convivono in perfetta armonia.Tunnel di agrumiOltre al patrimonio artistico, Villa Carlotta è famosa anche per le sue bellezze naturali. I pergolati di agrumi regalano profumi intensi e colori sgargianti. Possiamo infatti passeggiare lungo due tunnel di agrumi fra cedri, chinotti, mandarini, aranci amari, limoni, pompelmi, bergamotti e cedri.Valle delle felciA Villa Carlotta è presente la pianta più antica vivente sulla Terra: la felce arborea risalente addirittura al Paleozoico, oltre 300 milioni di anni fa, ancora prima dei dinosauri. Da questa pianta prende il nome una delle piccole valli presenti nel parco della villa, dove sono presenti esemplari di Dicksonia antarctica, originari dal sud-est dell’Australia.