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CHIESA DI S. BARTOLOMEO (SAN BARTOLOMEO VAL CAVARGNA)

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Parrocchia della diocesi di Milano. La chiesa di San Bartolomeo risulta attestata alle dipendenze della pieve di Porlezza fin dal XIII secolo. La cappella curata di San Bartolomeo è ancora citata nel 1398 tra quelle del plebato di Porlezza e verosimilmente compresa tra le due nominate verso la metà del XV secolo sempre nella stessa pieve.Compare tuttavia come parrocchiale negli atti della visita pastorale dell'arcivescovo Gabriele Sforza il 14 luglio 1455 nella pieve di Porlezza; il parroco di San Bartolomeo curava anche le chiese di Gottro e di Piano. Non elencata tra le rettorie della pieve di Porlezza nel 1564, la parrocchia di San Bartolomeo ricompare negli atti della visita dei delegati di Carlo Borromeo nel 1567. Dal XVI al XVIII secolo la parrocchia di San Bartolomeo, a cui era preposto il vicario foraneo di Porlezza, è costantemente ricordata negli atti delle visite pastorali compiute dagli arcivescovi e dai delegati arcivescovili di Milano nella pieve di Porlezza, inserita nella regione II della diocesi.Nel 1751, durante la visita pastorale dell'arcivescovo Giuseppe Pozzobonelli nella pieve di Porlezza, nella chiesa parrocchiale di San Bartolomeo in Val Cavargna non si avevano confraternite. Entro i confini della parrocchia di San Bartolomeo esistevano gli oratori di Santa Margherita e di San Rocco. Verso la fine del XVIII secolo, secondo la nota specifica delle esenzioni prediali a favore delle parrocchie dello stato di Milano, la chiesa parrocchiale di San Bartolomeo in Val Cavargna non possedeva fondi; il numero delle anime, conteggiato tra la Pasqua del 1779 e quella del 1780, era di 449. Nella coeva tabella delle parrocchie della città e diocesi di Milano, la rendita netta della parrocchia di San Bartolomeo assommava a lire 217; la nomina del titolare del beneficio parrocchiale spettava all'ordinario.Nel 1895, all'epoca della prima visita pastorale dell'arcivescovo Andrea Carlo Ferrari nella pieve di Porlezza, La rendita netta del beneficio parrocchiale assommava a lire 278.36. Entro i confini della parrocchia di San Bartolomeo esistevano gli oratori di Santa Margherita e di San Rocco in Tavaino. Nella parrocchia di San Bartolomeo apostolo di San Bartolomeo Val Cavargna si aveva la confraternita del Santissimo Sacramento, canonicamente istituita l'8 ottobre 1874; erano esistite la Compagnia della Dottrina Cristiana, eretta canonicamente il 21 maggio 1736 e la confraternita della Beata Vergine Maria della Cintura, eretta canonicamente il 24 agosto 1692. Il numero dei parrocchiani era di 1044. Nel XIX e XX secolo la parrocchia di San Bartolomeo di San Bartolomeo Val Cavargna è sempre stata inclusa nella pieve di Porlezza e nel vicariato foraneo omonimo, nella regione II della diocesi, fino alla revisione della struttura territoriale attuata tra il 1971 e il 1972, quando è stata attribuita al decanato di Porlezza nella zona pastorale III di Lecco. Indirizzo: Via Fontana - San Bartolomeo Val Cavargna (CO)(Fonte: https://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl?Chiave=23945&TipoPag=prodente)
CHIESA DI S. BARTOLOMEO (VALSOLDA)

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Parrocchia della diocesi di Milano. La parrocchia di Loggio in Valsolda fu eretta il 28 giugno 1647 dall'arcivescovo Cesare Monti con territorio smembrato dalla parrocchia dei Santi Mamete e Agapito. Nel 1745, durante la visita pastorale dell'arcivescovo Giuseppe Pozzobonelli nella pieve di Valsolda, nella chiesa parrocchiale di San Bartolomeo di Loggio non si avevano confraternite.Entro i confini della parrocchia di Loggio esistevano l'oratorio di San Carlo e l'oratorio di San Simone della località di Drano. Verso la fine del XVIII secolo, secondo la nota specifica delle esenzioni prediali a favore delle parrocchie dello stato di Milano, la parrocchia di San Bartolomeo di Drano con Loggio non possedeva fondi; il numero delle anime, conteggiato tra la Pasqua del 1779 e quella del 1780, era di 233.La parrocchia di Loggio con Drano in quanto parte della pieve della Valsolda era feudo della mensa arcivescovile e non era quindi subordinata ai regolamenti generali del governo di Milano. Nel 1895, all'epoca della prima visita pastorale dell'arcivescovo Andrea Carlo Ferrari nella pieve di San Mamete, la rendita netta del beneficio parrocchiale assommava a lire 671.72. Entro i confini della parrocchia di Loggio con Drano esistevano l'oratorio di San Simone in Drano, l'oratorio di San Carlo al cimitero e una piccola cappella detta di Tanchè dedicata alla Madonna, non aperta al pubblico. Nella chiesa parrocchiale di San Bartolomeo apostolo di Loggio con Drano si aveva la confraternita del Santissimo Sacramento.Il numero dei parrocchiani era di 222. Nel XIX e XX secolo la parrocchia di San Bartolomeo di Loggio con Drano è sempre stata inclusa nella pieve di San Mamete e nel vicariato foraneo omonimo, nella regione II della diocesi, fino alla revisione della struttura territoriale attuata tra il 1971 e il 1972, quando è stata attribuita al decanato di Porlezza nella zona pastorale III di Lecco. Indirizzo: Via Terica - Loggio, Valsolda (CO)(Fonte: https://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/siusa/pagina.pl?TipoPag=prodente&Chiave=22302) 
CHIESA DI S. BARTOLOMEO (COMO)

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Parrocchia della diocesi di Como. Negli atti della visita pastorale compiuta dal vescovo Ninguarda alla fine del XVI secolo, la chiesa di San Bartolomeo risulta annessa al monastero dei frati crociferi e la chiesa di San Sebastiano figura sotto la cura dell'omonima confraternita istituita il 3 luglio 1566 dal vescovo Gianantonio Volpi. La parrocchia di San Sebastiano fu eretta con decreto rogato dal cancelliere Raffaele Grippo il 3 gennaio 1604 del vescovo Filippo Archinti, con territorio smembrato dalla allora vasta parrocchia urbana di San Donnino e incorporando parte dei beni della soppressa parrocchia di San Marco in borgo Vico.La cura pastorale della neonata parrocchia nel borgo fuori porta Torre restò affidata al clero di San Donnino e al suo prevosto fino al 1624, anno della scomparsa dell'ultimo parroco di San Marco e della nomina del primo parroco di San Sebastiano. Per effetto della bolla 15 ottobre 1652 di Innocenzo X il convento dei crociferi di San Bartolomeo venne soppresso e il parroco di San Sebastiano ne entrò in possesso convertendolo in sua canonica e assumendo il titolo di priore.La dedicazione ai due santi patroni si alternerà finché quella a San Sebastiano non passò in secondo piano, soprattutto in seguito alla costruzione dell'attuale parrocchiale di San Bartolomeo, avvenuta alla fine del XVIII secolo; infine, in base al decreto 8 settembre 1986 del vescovo Teresio Ferraroni, il nome ufficiale venne modificato in San Bartolomeo. Nel 1651 la parrocchia di San Sebastiano compariva tra le parrocchie suburbane. Nel 1765, durante la visita del vescovo Giambattista Mugiasca nella città di Como, nella chiesa priorale di San Bartolomeo, era istituita la confraternita del Santissimo Sacramento; nella chiesa di San Giuseppe in Valleggio figurava il sodalizio omonimo; nella chiesa dei Santi Gervaso e Protaso figurava il consorzio della Beata Maria Vergine delle Grazie, istituito con autorità ordinaria con lettere del 4 agosto 1756; nella chiesa comparrocchiale di San Sebastiano era istituita la confraternita omonima, detta anche della Morte e dell'Orazione, eretta con autorità ordinaria dal vescovo Gianantonio Volpi, come risultava da lettere patenti del 1666, e aggregata all'arciconfraternita omonima di Roma l'11 luglio 1655; nella chiese di Santa Marta e di San Rocco figuravano le rispettive omonime confraternite.Negli atti della visita compiuta nel 1778 dal delegato Giovanni Volta risulta che nella chiesa priorale era stato eretto, il 31 dicembre 1761, il sodalizio del Santissimo Sacramento, mentre erano state soppresse le confraternite di San Sebastiano e di Santa Marta. Il numero dei parrocchiani era di 2497 di cui 1704 comunicati. Entro i confini della parrocchia di San Bartolomeo esistevano gli oratori o chiese dei Santi Gervaso e Protaso a porta Torre, di pertinenza dell'abbazia di Sant'Abbondio; Santi Antonio di Padova e Filippo Neri alla Madruzza, di giuspatronato della famiglia Cassina; Santa Marta; San Giuseppe in Valleggio; San Sebastiano nei sobborghi; Beata Maria Vergine detta della Cappelletta; Beata Vergine in porta Torre; San Rocco; Beata Maria Vergine del Soccorso fuori di Como. Sotto la cura della priorale di San Bartolomeo risultava la comparrocchiale di San Sebastiano nei sobborghi di Como, in porta Torre.Nello stato di tutte le chiese parrocchiali della città e diocesi di Como spedito dal vescovo Mugiasca al governo di Milano nel 1773, la parrocchia compariva come "San Bartolomeo, priorato altre volte regolare e San Sebastiano parrocchiale"; il "reddito liquido" assommava a lire 1499.15; altri redditi risultavano derivare da emolumenti di stola per lire 550; dal beneficio di giuspatronato della famiglia Porta, eretto nella chiesa di Santa Marta, per lire 795; dal beneficio eretto nell'oratorio di San Simone per lire 409; dalla confraternita di San Giuseppe in Valleggio per lire 600. Nel 1781, secondo la nota specifica delle esenzioni prediali a favore delle parrocchie dello stato di Milano, la parrocchia di San Bartolomeo possedeva fondi per 16.21 pertiche; il numero delle anime, conteggiato tra la Pasqua del 1779 e quella del 1780, era di 3248.Nel 1788 entro i confini della parrocchia di San Bartolomeo, compresa nei borghi di Como, esisteva la chiesa di San Rocco. Secondo quanto si desume dal confronto con la "nuova divisione dei distretti compresi nel Regno d'Italia e spettanti alla diocesi di Como per le scuole normali" compilata nel 1816, la parrocchia di San Bartolomeo risultava elencata tra le parrocchie dei sobborghi di Como comprese nella "pieve detta urbana". Nel 1892, anno della visita pastorale del vescovo Andrea Ferrari nei sobborghi di Como e nella pieve e vicariato di Zezio, la rendita netta del beneficio parrocchiale priorale di San Bartolomeo assommava a lire 2123.01, oltre al quale esisteva una vicaria d'ufficio con rendita in quell'anno di lire 565.78, una vicaria di lire 277.64 (San Giuseppe) e un beneficio coadiutorale amovibile con rendita di lire 182.63.Entro i confini della parrocchia di San Bartolomeo esistevano le chiese filiali di San Rocco; Santa Chiara, a uso dell'annesso orfanotrofio e collegio; la chiesa vicariale di San Giuseppe in Valleggio, presso la quale si trovava l'oratorio privato dei Santi Antonio e Filippo Neri, detto della Madruzza, di patronato Rovelli. La giurisdizione della parrocchia si estendeva sui borghi di San Bartolomeo, San Rocco, dell'Ospitale, San Giuseppe in Valleggio e sul collegio di Santa Chiara e il manicomio. Nella parrocchiale era istituita la confraternita maschile e femminile del Santissimo Sacramento.Il numero dei parrocchiani era di 6013. La parrocchia era di nomina dell'ordinario diocesano. Nel 1904, anno della visita pastorale del vescovo Teodoro Valfré di Bonzo nella città di Como, la rendita netta del beneficio parrocchiale assommava a lire 1874; esistevano inoltre un beneficio vicariale e uno coadiutorale in parrocchia e un beneficio vicariale a San Giuseppe. I parrocchiani erano 6650, compresi gli abitanti delle frazioni di San Bartolomeo, San Rocco, borgo Ospitale, San Giuseppe in Valleggio, del manicomio e Binda, e del collegio di Santa Chiara. Nel territorio parrocchiale esistevano le chiese filiari di San Rocco; San Giuseppe in Valleggio; la chiesa di Santa Chiara; Santa Maria della Binda; l'oratorio di San Filippo Neri alla Madruzza, di patronato Rovelli. Nella chiesa parrocchiale era eretta la confraternita maschile e femminile del Santissimo Sacramento, che risultava ondata oltre due secoli prima; il consorzio del Sacro Cuore di Gesù; il consorzio della Beata Vergine Addolorata.La parrocchia era di nomina dell'ordinario e risultava compresa tra le parrocchie suburbane. Dal 1938 la parrocchia di San Bartolomeo di Como è stata compresa nel vicariato occidentale di Como, fino al decreto 29 gennaio 1968, in seguito al quale fu assegnata alla zona pastorale I di Como e al vicariato di Como; con decreto 10 aprile 1984 è stata inclusa nel vicariato B di Como centro. Indirizzo: Via Milano, 151 - Como (CO)(Fonte: https://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl?TipoPag=prodente&Chiave=20648)  
MURA MEDIOEVALI - COMPLESSO (COMO)

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Il complesso delle mura medievali di Como cinge su tre lati il centro cittadino, seguendo l'espansione oltre il circuito delle mura della città romana. L'epoca di costruzione risale al periodo che va dal XII al XIV sec.Porta TorrePorta Torre (sec. XIV) è uno dei più interessanti esempi, in Italia, di architettura militare di tradizione romanica;a base quadrata e alta circa 40 m, è rivolta verso Milano. La grande fortificazione ha un aspetto massiccio all'esterno, mentre sul lato verso la città è alleggerita da quattro ordini di arcate che corrispondono ai quattro piani interni, originariamente in legno, andati distrutti. Gli otto archi sono disassati rispetto a quello, molto più grande, sito al piano terra che presenta una ghiera di conci ben squadrati, con alternanza di elementi bianchi e neri.Torre di S.Vitale e Porta NuovaSuccessiva a Porta Torre è la costruzione delle due torri di S. Vitale (alta 36 m) ad est e Porta Nuova (o Torre Gattoni) ad ovest, che si presentano molto più massicce e meno curate della precedente, con aperture limitate a sole finestre con archi a tutto sesto. Le mura che partono dalla Torre Gattoni (così chiamata per ricordare il canonico Giulio Cesare Gattoni che aveva nella torre un laboratorio dove Alessandro Volta si dedicò allo studio della pila) e proseguono lungo il lato sud, sono le uniche integre e consentono di vedere ancora chiaramente la scarpa che, a tratti regolari, le rafforzava.Castel Baradello (avanzi)Il castello del Baradello sorge sull'omonimo colle che domina la città, da dove lo sguardo si spinge sino alle Alpi e alla pianura Padana. È raggiungibile dalla Camerlata attraverso un sentiero che si snoda nel bosco, oppure da piazza S. Rocco per strada carrozzabile. La torre quadrata è solo la struttura meglio conservata di un complesso più ampio di edifici, portati in luce e restaurati nel corso di un intervento svoltosi dal 1971 al 1978 sotto la guida dell'architetto L.M. Belloni. L'intervento di ripristino venne sostenuto dall'Amministrazione Comunale con l'intento di dar vita a un parco territoriale comprendente anche la zona archeologica di Prestino-S. Fermo-Monte Croce, denominato "Spina Verde".Mentre è ipotizzabile che la collina sia stata abitata già fin dall'antichità, le prime fonti documentarie risalgono al XII secolo, quando si ricorda (Anonimo Cumano) come durante la guerra tra Como e Milano (1118-1127), i Comaschi salissero sul colle per trovarvi rifugio.Come risulta da questi scavi, il torrione era inserito in un recinto fortificato in posizione angolare, anche se la parte detta del Barbarossa, è limitata solo alla porzione più bassa. La parte sommitale, infatti, venne innalzata all'epoca dei Visconti, permettendo così alla torre di raggiungere l'altezza di 28 m. A questo periodo va riferito anche il portale a sesto acuto aperto nel recinto murario. Come sopra ricordato, i restauri eseguiti negli anni Settanta permisero di portare alla luce diversi edifici appartenenti all'intero complesso, tra cui le fondazioni di una chiesa castrense dedicata a S. Nicolò. Di piccole dimensioni, ha abside circolare e navata unica.In epoca viscontea, probabilmente, fu accorciata per far posto al locale contenente la macina (rinvenuta nel corso dei restauri) e il forno. A quest'ultimo si accedeva oltrepassando un arco a tutto sesto in conci squadrati di arenaria, tuttora visibile.Nei pressi della chiesa fu edificata una struttura quadrangolare, forse una casa-torre, di cui restano le fondamenta e parte dell'alzato.La cisterna (destinata, secondo Belloni, alla conservazione del grano) si trova nelle immediate vicinanze dello spigolo nord della primitiva cerchia muraria ed è un ambiente scavato completamente nella roccia e dotato di copertura con volta a botte a tutto sesto. L'interno è intonacato con pozzolana e vi si accede mediante un'apertura nella volta. Il passaggio era chiuso da una pesante lastra di ferro munita di un complicato meccanismo di chiusura databile al XVI secolo, che fa dedurre che fu usata fino alla distruzione del complesso fortificato.Sul lato occidentale del complesso, superato il portale archiacuto, sulla sinistra si vedono due locali rettangolari, adibiti ad alloggiamenti per le truppe o a depositi per le vettovaglie.Al di fuori della cerchia delle mura si conservano i ruderi di un edificio civile databile al XII secolo dove, secondo la leggenda, alloggiò due volte Federico Barbarossa durante i suoi soggiorni a Como.Castello della Torre Rotonda (resti)Il tracciamento dei muri perimetrali si possono osservare ancora oggi, in quanto anche se in massima parte ricostruiti, limitano il Teatro Sociale e l'area dell'arena posteriore al teatro medesimo.Epoca di costruzione: sec. XIII - sec. XIV Indirizzo: Viale Varese (Nel centro abitato, distinguibile dal contesto) - Como (CO)
I "BAGNI VECCHI DI BORMIO" (VALDIDENTRO)

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Sopra l'abitato di Molina nel Comune di Valdidentro, appena sotto la strada che sale al Passo dello Stelvio, una serie di edifici annidati contro il versante testimoniano dell'antico sfruttamento medico e turistico delle sorgenti termali caratteristiche della zona di Bormio: si tratta dei cosiddetti Bagni Vecchi, un complesso sicuramente già attivo in epoca altomedievale, attorno al VI secolo d.C. Non appare invece comprovabile l'ipotesi che queste acque fossero già citate da Plinio, anche se la tradizione attribuisce a quell'epoca le cosiddette "Vasche romane", in cui si raccoglie l'acqua che sgorga direttamente dalla roccia.Ricordate da Cassiodoro in una lettera del 535 come Aquae Bormiae, le strutture termali continuarono a essere frequentate nel corso di tutto il Medioevo, dato che sorgevano lungo la Via Imperiale d'Alemagna, importante strada che attraverso la Val Fraéle portava in Svizzera; vennero quindi ampliate, fortificate e dotate di una piccola chiesa dedicata a San Martino.Le sorgenti appartenevano allora alla Comunità di Bormio, che ne regolamentava lo sfruttamento, appaltandone ogni cinque anni la gestione. All'epoca di Leonardo da Vinci, che nomina i Bagni nel Codice Atlantico, la chiesa, danneggiata da un crollo, venne ricostruita e quindi affrescata, mentre veniva allestito un bagno termale anche per le donne, indice questo del continuo apprezzamento per il luogo da parte non solo dei locali.Negli anni '30 dell'800 la moda delle cure termali porta all'edificazione di uno stabilimento più moderno e vicino al centro abitato, che sarà denominato Bagni Nuovi per distinguerlo da quelli che ora divengono i Bagni Vecchi; questi ultimi però non vengono abbandonati: ampliati con una galleria entro la montagna per creare una "grotta sudatoria", sfruttando l'acqua che scaturisce qui a una temperatura di circa 40°, vengono ristrutturati dalla nuova proprietà svizzera;  prima della Grande Guerra viene inoltre aggiunto l'Hotel Belvedere, progettato dall'architetto milanese Ugo Zanchetta. Questi ultimi interventi in particolare si qualificano come pregevoli esempi di architettura espressione dell'Art Deco di inizio Novecento.Tutt'oggi attivi e collegati ai Bagni Nuovi, i Bagni Vecchi, con la loro complessa struttura accresciutasi nel tempo attraverso successive aggiunte, riassumono oltre mille e cinquecento anni di storia, ancora in parte leggibile negli edifici rimasti; costituiscono quindi, oltre che un polo d'attrazione per il benessere, anche un interessante itinerario storico-architettonico. Indirizzo: Strada Statale dello Stelvio (Fuori dal centro abitato, isolato) - Valdidentro (SO)
CHIESA DI S. SPIRITO (EX) (BORMIO)

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La chiesa sorge all'inizio della centralissima via Roma, la Via Magna di un tempo. È ad aula unica absidata e vi si accede da una porta laterale che rappresenta oggi l'unico ingresso, giacché quello in facciata è stato tamponato insieme al rosone; la facciata ha perso quindi la sua connotazione di fronte principale, anche perché prospetta su una viuzza ormai al margine dei percorsi più battuti, mentre conserva visibilità il volume arrotondato dell'abside.L'interno è rivestito da vivaci pitture rinascimentali che con insistenza tornano sul tema della Trinità. Gli affreschi sulle pareti dell'aula sono di natura votiva; alcuni vengono riferiti al pittore locale Luigi Sermondi e datati intorno al 1475, mentre i modi colti e aggiornati del milanese Bartolino de Buri sono stati riconosciuti nei due personaggi (un uomo e una donna) vestiti con abiti sontuosi e di foggia modaiola, in linea con le tendenze del Quattrocento inoltrato.L'abside era uno spazio soggetto a una maggiore sorveglianza e qui gli affreschi sono di Luigi Sermondi (1475), che sulla parete curva della semitazza impagina una Incoronazione della Vergine affollata da santi e angeli. Staccano nettamente gli affreschi eseguiti sulla volta dell'aula dal de Magistris (1528), che nel medaglione centrale rappresenta la Trinità e intorno Angeli musicanti e i quattro Evangelisti, mentre ai margini dispone la Vergine e gli Apostoli seduti su un coro ligneo; a parte stanno i Dottori della Chiesa, dediti allo studio. Indirizzo: Via Roma (Nel centro abitato, distinguibile dal contesto) - Bormio (SO)
CHIESA DI S. PANCRAZIO (ALTA VALLE INTELVI)

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 La Chiesa di S. Pancrazio è costituita da una muratura in pietra irregolare, lasciata faccia a vista.Il pronao che introduce alla chiesa è costituito da una struttura a tre fornici, coperta con volte a crociera, sostenuta da due colonne in corrispondenza dell'arco centrale, da pilastri in muratura di pietra sui lati e da peducci in facciata. La cappella di sinistra, che costituiva l'abside dell'antica chiesa, è costituita da una muratura in pietra irregolare, con paraste in conci di pietra grossolonamente squadrati ed un coronamento in archetti di pietra. Anche l'attuale abside e la porzione di corpo di fabbrica sul lato destro, che ospita la cappella di S. Carlo e la sacrestia, sono dotate di paraste, che nel caso dell'abside sono realizzate con conci di pietra squadrati, mentre nel corpo di fabbrica sul lato destro sono costituite da una muratura in pietra irregolare, analoga a quella del resto della struttura.Epoca di costruzione: fine sec. XIV - inizio sec. XV Indirizzo: Via San Pancrazio (Fuori dal centro abitato, isolato) - Alta Valle Intelvi (CO)
SANTUARIO DEL S.MO CROCIFISSO - COMPLESSO (COMO)

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 La chiesa, ubicata nei pressi delle mura cittadine, è il frutto di diversi interventi realizzati dal XVI al XIX secolo che hanno lasciato numerose opere d'arte. La facciata, rivolta ad est, ha un aspetto imponente e comprende due pareti inclinate in cui sono inserite le porte laterali. Sui fianchi due ali porticate con paramento in finto bugnato contribuiscono all'effetto monumentale del complesso. Il registro inferiore del prospetto è caratterizzato da colonne e paraste giganti di ordine corinzio che inquadrano il portale centrale con timpano sommitale e due statue bronzee con le figure di S. Paolo e S. Pietro, opera di Giuseppe Siccardi.Nel registro superiore un'ampia finestra semicircolare e sul coronamento un gruppo scultoreo dell'Annunciazione, opera di Giuseppe Bayer. Sul fianco sinistro dell'abside si eleva la mole del campanile con elegante cella campanaria, scandita da paraste e colonne che reggono quattro timpani curvi, e tiburio sommitale ottagonale. L'interno è a navata unica, scandita da colonne e paraste corinzie, con due cappelle laterali e due cappelline. La decorazione neobarocca delle pareti della navata è opera del pittore Mario Albertella, le decorazioni delle cupoline che raffigurano l'Assunta e la Gloria di S. Pietro, furono eseguite dal pittore genovese Gaetano Barabini.In controfacciata un gruppo ligneo policromo con la Gloria di S. Pietro Celestino. A destra la cappellina del battistero decorata da affreschi di Onorato Andina. Segue la cappella dell'Immacolata decorata da un ciclo di affreschi settecenteschi realizzati da Carlo Innocenzo Carloni con la collaborazione dei quadraturisti Carlo Giuseppe De Vincenti e Giovanni Domenico Dobler. Nella cupola il Trionfo dell'Immacolata, nel tamburo e nei pennacchi figure di angeli e le Virtù teologali, nelle lunette Profeti. Alle pareti due tele dello stesso Carloni che rappresentano la Presentazione della Vergine al Tempio e la Natività della Vergine. Sull'altare in una nicchia una statua in marmo di S. Margherita di Pietro Lironi, trasformata in statua dell'Immacolata.Sul lato sinistro della navata la cappella di S. Gerolamo Miani, affrescata con la Gloria del Santo da Mario Albertella. Segue la cappella del Crocifisso, oggi del Sacro Cuore, che conserva un rilevante ciclo decorativo seicentesco. Sull'altare un'ancona marmorea realizzata da Marcantonio e Francesco Fossati su disegno di Carlo Buzzi e in una nicchia al centro la statua novecentesca del Sacro Cuore di Gesù, realizzata dallo scultore Cappuccini. Nella cimasa una tela con l'Ecce Homo di Giovanni Paolo Recchi. Sulle pareti tele della bottega dei Recchi con le Storie della Passione e nella cupola eleganti stucchi di Francesco Sala con otto figure di Angeli che reggono gli strumenti della Passione. Nell'incrocio fra transetto e navata quattro grandi statue in stucco lucido di Stefano Salterio che raffigurano Giosuè, Salomone, Davide e Mosè.Nei pennacchi bassorilievi con le figure degli Evangelisti, dello stesso Salterio, e nella volta la decorazione pittorica del Trionfo di Cristo Re opera di Gersam Turri, autore anche delle decorazioni nelle absidi del transetto. Sulle pareti terminali del transetto due altari dedicati all'Annunciata, con un quadro seicentesco, e a S. Giuseppe, con un gruppo ligneo policromo novecentesco opera di Alessandro Cappellini. Nel presbiterio l'altare maggiore con un elegante tempietto su colonne corinzie in cui si conserva la statua lignea del Crocifisso, forse di origine francese. Ai lati due statue bronzee dorate di Giuseppe Siccardi che rappresentano l'Addolorata e San Giovanni Evangelista. Completano la decorazione le pitture neobarocche sulle pareti, che inquadrano i due organi monumentali, e sulla volta del presbiterio, opera di Mario Albertella.A nord del presbiterio la cappella della Croce che conserva una tela settecentesca di Giuseppe Nuvolone che raffigura il Martirio di S. Lorenzo. Indirizzo: Viale Varese, 23,25 - Como (CO)
LA STRADA E IL PASSO DELLO STELVIO

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Ventisei arditi tornanti salendo da oriente, ventotto da occidente: è la strada che attraverso il Giogo dello Stelvio congiunge da secoli l'alta Valtellina con la Val Venosta, affacciandosi sullo spartiacque elvetico e permettendo, attraverso il Giogo di Santa Maria - o Passo di Umbrail, secondo la denominazione più antica - di discendere a settentrione nella Val Monastero, tributaria anch'essa dell'alto corso dell'Adige.La via dello Stelvio è nota per lo meno dal basso Medioevo, anche se raramente era battuta. L'angusto sentiero rimase infatti tale per lungo tempo, in quanto la quota elevata del valico verso l'Alto Adige - ben 2762 m, il più alto fra quelli aperti alle auto nelle Alpi - lo rendeva scarsamente transitabile per una buona parte dell'anno.Molto più frequentato era allora il Giogo di Santa Maria - il Passo di Umbraglio - che ricorre nelle carte del Ducato di Milano come una delle vie per mantenere i rapporti con l'Impero: è da qui che nel 1493 transita il corteo nuziale di Bianca Maria Sforza, figlia di Lodovico il Moro, che va sposa all'imperatore Massimiliano I d'Asburgo. Alla via dell'Umbrail faceva del resto concorrenza l'ardito Passo delle Scale, sopra Bormio, apparentemente impenetrabile, ma unico ostacolo su di un percorso in quota molto meno pericoloso rispetto agli altri due [Torri di Fraele].Questa antica preferenza per altri valichi diviene immediatamente comprensibile salendo verso lo Stelvio da Bormio: la strada si dipana infatti tortuosa lungo il fianco della selvaggia Valle del Braulio [Valle del Braulio], superando con 14 serrati tornanti la bastionata del Monte Radisca - Filone del Mot, sino alla Bocca del Braulio; da qui si apre l'ampia conca terminale, che sale dolcemente alla sella di Umbrail, mentre verso oriente l'impervio versante sudoccidentale del Piz Cotschen impone un'ulteriore decina di tornanti, sia pure di maggior respiro rispetto ai precedenti.Ancora più impressionante doveva essere in antico la discesa dall'altra parte: dalla muraglia rocciosa sommitale, la strada attuale scende con una cascata di tornanti lungo il fianco di una angusta valle glaciale sospesa sino a un ripido salto, al fondo del quale confluiscono tutti i canaloni glaciali del versante settentrionale dell'Ortles. Qui sorgono le prime case di Trafoi, a soli quattro chilometri in linea d'aria dal valico, ma ben 1000 m più sotto, mentre a breve distanza lo sfondo si apre già sullo sbocco della vallata presso Prato allo Stelvio.Un'opera del genere è stata possibile solo con le tecniche costruttive e il dispiego di mezzi resisi disponibili nel XIX secolo, quando dopo il Congresso di Vienna la Lombardia venne annessa all'Austria: necessitando di un collegamento diretto fra i due territori, nel 1920 l'imperatore Francesco I ne affidò la progettazione al rinomato ingegnere Carlo Donegani, mettendo a sua disposizione oltre 2500 uomini, fra tecnici e operai. I lavori, iniziati l'anno successivo furono portati a termine in soli tre anni, e nel 1825 la nuova strada veniva inaugurata dall'imperatore in persona.Dal 1861 in poi, il valico - Stilfserjock per gli austriaci - segnò il confine d'Italia verso il Tirolo, e come tale divenne durante la Grande Guerra un punto strategico chiave, oggetto di sanguinosi scontri.Nel giugno del 1915 infatti gli austriaci riuscirono a prendere il Monte Scorluzzo, attestandosi in trincee e caverne - tutt'oggi visibili - lungo il suo fianco, né gli italiani, nonostante ripetuti attacchi, riuscirono più a spingersi oltre il bastione delle Rese di Scorluzzo, a occidente del valico stesso. Alla fine della guerra, la montagna aveva ormai assunto il nome di Blut und Eisenberg, Montagna di Sangue e di Ferro.Sino a prima del conflitto, per la sua importanza la strada dello Stelvio venne tenuta libera dalla neve e aperta al transito delle diligenze anche d'inverno; successivamente, riducendosi a via di collegamento a scala locale, tale cura venne abbandonata.Oggi, anche se chiusa da novembre sino a fine maggio, la strada dello Stelvio è tornata a essere un percorso noto a livello internazionale, essendo sede di una delle tappe più dure del Giro Ciclistico d'Italia.Con i suoi panorami a tratti aerei e di ampio respiro, a tratti aspri e selvaggi, essa riserva grandi emozioni sia a chi la percorre in auto o in moto, che ai numerosi ciclisti che si inerpicano sui suoi tornanti, provando il brivido della discesa dall'altra parte.Molto trafficata durante la bella stagione, presenta indubbiamente problemi logistici per l'interazione fra questi diversi tipi di frequentazione, e richiede a tutti una certa attenzione e rispetto. Proprio per permettere agli appassionati della bicicletta di godere appieno del suo eccezionale percorso, senza che si vengano a creare situazioni rischiose, almeno due giornate per ogni estate sono dedicate esclusivamente a questi ultimi, chiudendo il transito per i mezzi a motore, e lasciando che sulle sue curve e i suoi rettilinei scenda almeno per un poco il silenzio della montagna, come al tempo in cui essa venne costruita.Di seguito il pannello illustrativo dedicato al Passo dello Stelvio che troverete lungo il percorso e allegato in seguito.