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I DOSSI DI TRIANGIA

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Il ripiano su cui sorge Triangia è il più vistoso di una serie di gradini morfologici che interrompono i pendii del versante destro della Valtellina; esso si allunga parallelamente all'asse vallivo per quasi tre chilometri, elevandosi di quasi 500 m rispetto alla piana sottostante, ed è il primo di una serie di terrazzi e contropendenze che si sviluppano sino ai 1900 m di quota.

Questo assetto tipico è legato a movimenti di rilascio del versante stesso lungo grandi piani di discontinuità, che attraversano obliquamente la compagine rocciosa.

Qui a Triangia siamo infatti esattamente lungo la sutura fra due placche continentali - quella europea, a settentrione, e quella africana a meridione - cioè sulla linea ideale lungo la quale esse entrarono in collisione circa 30 milioni di anni fa, causando la strutturazione e l'emersione dell'intera catena alpina. Questa grande linea tettonica è nota come Linea Insubrica, ed è una parte del più ampio Lineamento Periadriatico, esteso dal Luganese sino al confine sloveno.

Essa appare qui come un fascio di faglie, che mettono a contatto rocce molto diverse tra loro e profondamente fratturate; movimenti di scorrimento laterale dell'ordine di quasi un centinaio di chilometri, nelle fasi più recenti, hanno inoltre stirato e deformato la compagine rocciosa, isolando lenti di rocce più resistenti e compatte, entro fasce estesamente laminate o tritate, soggette quindi a una più rapida erosione.

La rarità dei litotipi metamorfici qui presenti e l'evidente struttura geologica - esemplificativa dell'intero asse della Valtellina - non coperta da vegetazione né da depositi glaciali, fa inoltre dell'intero dosso di Triangia un'area di elevato interesse geologico, qualificabile quindi come geosito.

L'elemento più peculiare e più evidente anche per l'escursionista, è però il modellamento del versante di Triangia ad opera del ghiacciaio dell'Adda, che attorno a 20000 anni fa raggiungeva qui uno spessore di oltre 1500 m.

La presenza di nuclei di rocce metamorfiche massicce - originarie pegmatiti o forse porfidi - stirati parallelamente alle faglie e immersi entro metamorfiti fortemente scistose, ha qui esaltato infatti lo sviluppo di rocce montonate, ovvero di dossi arrotondati e allungati modellati dal ghiacciaio.

Si è generato così un paesaggio suggestivo, fatto di depressioni naturali verdeggianti interrotte dalle sagome ellittiche in roccia irregolarmente sparse, che contrasta nettamente con la regolarità dei terrazzamenti e degli appezzamenti agricoli che segna i versanti circostanti.

Le depressioni, dal fondo tappezzato di depositi glaciali impermeabili, sono spesso adatte al ristagno dell'acqua, che dà origine a peculiari ambienti umidi, di rilevante interesse naturalistico ma dal delicato equilibrio.

L'area umida a quota maggiore, attorno ai 1600 m s.l.m., era forse la torbiera di Piastorba - toponimo di per sé trasparente - oggi ormai completamente riconquistata dal bosco.

Più sotto, i laghetti di Ligari - a quota 1190 - si presentano come pozze temporanee, con una vegetazione igrofila che dà rifugio a numerose specie di insetti rari, oltre che a una piccola popolazione di tritoni.

Due aree di sicuro interesse, adatte allo sviluppo di un percorso didattico, sono poi incastonate entro il ripiano a quota 930 m: le Torbiere Alte, zone umide a oriente dell'ormai compromesso lago di Triangia; in quest'ultimo, l'immissione a scopo sportivo di specie ittiche esotiche costituisce infatti una minaccia alle faune autoctone.

La prima delle due torbiere è ormai a una fase avanzata dell'evoluzione: il costante accumulo dei resti vegetali non decomposti è infatti arrivato a generare una zona emersa, pronta per la colonizzazione da parte del bosco; la seconda, invece, presenta circolazione di acqua ancora attiva, con un microambiente di particolare pregio naturalistico.

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