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GHIACCIAIO DELLA VENTINA

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Da Chiareggio, in alta Val Malenco, è possibile con una breve deviazione - circa un'ora di cammino su facile mulattiera - raggiungere l'alta Val Ventìna e da qui la fronte dell'omonima vedretta.

Usciti dal bosco, non più di 360 m sopra l'abitato, la mulattiera supera il gradino su cui sorge il Rifugio Gerli-Porro, sottolineato da ampie superfici in rocce arrotondate e levigate dall'antico ghiacciaio, quando più di 18000 anni fa confluiva in quello della valle principale; da qui la vista spazia sulla spettacolare corona di cime del gruppo del Disgrazia, non a caso denominato all'inizio dell'800 "Pizzo Bello": la Cima di Sassersa, il Pizzo Giumellino, il Pizzo Cassandra e verso ovest la culminazione del massiccio, che sfiora i 3700 m di altitudine.

Proseguendo nella piana dell'Alpe Ventina, dopo l'omonimo rifugio, i segnavia e i pannelli illustrativi del Sentiero Glaciologico Vittorio Sella - allestito nel 1992 dal Servizio Glaciologico Lombardo - accompagnano l'escursionista alla scoperta delle tracce lasciate dalla lingua glaciale della Ventìna nell'arco degli ultimi secoli: essa ha infatti attraversato periodi di avanzata e periodi di ritiro anche accentuato.

Tra gli apparati lombardi, la Vedretta della Ventìna può d'altra parte vantare una delle più lunghe serie di misure e di osservazioni scientifiche: i primi rilievi finalizzati a quantificarne le variazioni di posizione della fronte risalgono infatti alla fine dell'800. Da allora, per poter confrontare i dati, sono stati individuati dei punti di misurazione fissi, oggi evidenziati lungo il percorso.

Anche rimanendo presso i rifugi, nel fondovalle sui 2000 m di quota, però, si può apprezzare in panoramica l'azione di modellamento svolta dal ghiacciaio e, in tempi più recenti, dall'azione dei torrenti e dei cicli di gelo-disgelo.

La conca presenta infatti il caratteristico profilo a U legato all'esarazione glaciale; rocce montonate - cioè modellate in dossi arrotondati durante l'avanzata della lingua glaciale - affiorano al centro della piana antistante la fronte, costruita dai detriti rimaneggiati dalle acque di fusione: qui il torrente scorre pigro creando meandri regolari, contornato da una vegetazione ormai ben sviluppata; la presenza di specie arboree indica che è ormai trascorso parecchio tempo da quando il ghiaccio ha liberato questa zona.

Più in là, oltre i larici, un possente argine detritico dalla cresta affilata contorna alla base le pareti sotto il Passo Ventìna: è la morena destra costruita dal ghiacciaio durante la Piccola Età Glaciale, il periodo di generale avanzata dei ghiacciai delle Alpi che va dal 1550 circa sino al 1850; con il suo netto rilievo, essa sottolinea lo spessore raggiunto dalla lingua glaciale - oltre 100 m - nel corso della sua massima espansione storica, verso la metà dell'800.

In questo periodo, essa occupava gran parte del vallone, spingendosi verso il basso sino quasi ai 2000 m di quota; all'altezza della fronte attuale, da sinistra confluiva in essa un'altra lingua glaciale, che scendeva dal versante occidentale del Pizzo Ventina, lungo il Canalone della Vergine.

Dopo la Piccola Età Glaciale, la Vedretta della Ventìna entrò in una fase di regresso pressoché continua, durante la quale la sua fronte è arretrata di quasi un chilometro e mezzo, attestandosi quasi 300 m più in alto; analogamente il Ghiacciaio del Canalone della Vergine si è ritirato, divenendo indipendente e arroccandosi al di sopra dei 2400 m s.l.m.

Questa generalizzata riduzione delle due lingue glaciali è stata interrotta più volte da brevi pulsazioni positive fra il 1915 e il 1921, e soprattutto fra il 1973 e il 1989; le loro tracce sono evidenziate con appositi segnali lungo il Sentiero.

Dopo il 1989, il ritiro delle fronti è ripreso con ritmi via via più sostenuti, secondo una tendenza comune a quasi tutti i ghiacciai montani del pianeta: negli ultimi quarant'anni, la Vedretta della Ventìna ha infatti perso circa un quarto della sua superficie, riducendosi all'attuale estensione di poco meno di due chilometri quadri.

E' evidente che il cambiamento climatico in atto non può che accelerare questa evoluzione: le proiezioni ottenute dai glaciologi, sulla base di modelli fondati sugli scenari climatici prevedibili per i prossimi decenni, suggeriscono infatti che per la fine di questo secolo della Vedretta della Ventìna possa solo rimanere la memoria, fissata nelle forme del paesaggio e nelle foto che si sono via via accumulate a partire da fine '800.

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