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GOLA DI LAGO (CAPRIASCA)

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Una lunga storia geologica

La testata della Val Capriasca si chiude verso settentrione con un basso crinale arrotondato, direttamente affacciato sulla retrostante Val d'Isone: è la cosiddetta Gola di Lago, una specie di conca racchiusa fra la Bocheta del Monte di Lago, a q. 972 m, e quella dell'Alpe Santa Maria a q. 999 m s.l.m. 

Ampie depressioni separate da dossi allungati caratterizzano l'intera area: essi sono il risultato dell'erosione selettiva a spese degli gneiss e micascisti che qui affiorano: si tratta infatti di rocce metamorfiche tenere, attraversate da resistenti vene di quarzo, e profondamente fratturate lungo una direttrice NE-SW, la medesima che controlla i valloni del versante occidentale del vicino Monte Bar.

Il ghiacciaio del Ticino durante le avanzate del Pleistocene medio sommergeva il passo del Monte Ceneri e le selle dei Monti di Medeglia, ma si appoggiava sul ripiano di Gola di Lago solo con una propaggine spessa non più di 200 m, troppo pochi per riuscire a modellare la roccia nelle sue forme tipiche; si è limitato quindi ad ammantarla con i suoi depositi.
Risalgono a questi periodi, infatti, i grandi massi erratici presenti qua e là ai bordi del ripiano; uno di questi è ben visibile lungo la strada a NW della Bocheta, appena dopo la cappella dei Soldati: è la cosiddetta Pioda di Crusett, coperta di incisioni e di coppelle di età imprecisata.
Tutta la Val Capriasca, soprattutto lungo le pendici del Monte Bar, abbonda di questi segni della presenza umana, istoriati nella roccia a partire forse dall'Età del Bronzo; qui a Gola di Lago uelli di GOla di Lago sono di età imprecisataquasi certamente il grande masso è stato poi considerato per tutto il Medioevo  come pietra di confine.
Depositi glaciali molto meno visibili, ma non meno significativi sono i limi e le argille fortemente compattati che si annidano nelle depressioni, impermeabilizzandole e favorendo il ristagno delle acque.
Quest'ultimo è l'elemento chiave per lo sviluppo e la sopravvivenza di uno degli ambienti di torbiera più pregiati del Ticino, come tale protetto sin dal 1976, e inserito oggi in un più vasto piano di salvaguardia e valorizzazione del territorio.

Le torbiere

Giunti in prossimità della Bocheta, oltre la staccionata che impedisce l'accesso al bestiame, si apre infatti un'ampia distesa verdeggiante di erbe palustri, a cui si inframmezzano cuscini di sfagni; irregolari pozze d'acqua dalla superfice nerastra e oleosa si sfrangiano qua e là insinuandosi laddove la vegetazione è più rada, o scomparendo sotto tappeti vegetali galleggianti, fra cui spiccano le foglie della Brasca poligonifoglia (Potamogeton poligonifolius).
E' questa la torbiera inferiore, profonda qui quasi quattro metri, di cui più di tre costituiti da melma ricca in materia organica, e circa 90 cm da resti vegetali non decomposti e imbevuti d'acqua.
Poco più sopra, a ovest, una seconda area palustre, ormai quasi completamente soffocata dagli sfagni, è collegata a questa attraverso un sottile rigagnolo.
La torbiera si è evoluta nel tempo, iniziando come torbiera "bassa", attraverso l'accumulo dei resti delle piante palustri e degli arbusti che ancora oggi sono presenti ai bordi delle pozze acquitrinose: varie specie di carici, gli eriofori (Eriophorum angustifolium e E. vaginatum) dai bianchi piumini, la Poligala e le viole di palude, ma anche il più raro Trifoglio fibrino (Menyanthes trifoliata) e l'elegante Giunco a fiori acuti (Juncus acutiflorus) presente in Svizzera solo in questa regione; tutte queste specie prosperano qui traendo nutrimento in gran parte dal suolo sommerso, ricco di sali minerali.
La fitta copertura vegetale a cui danno luogo offre asilo sicuro a una ricca fauna ad anfibi, fra cui spicca il raro Tritone crestato (Triturus carnifex).
I resti di questi vegetali continuano da secoli ad accumularsi via via al fondo, nell'acqua stagnante, senza decomporsi a causa della carenza di ossigeno: si forma così la torba, uno strato organico compatto e fibroso che rappresenta il primo stadio di carbonizzazione della materia vegetale.
 
Qua e là l'accumulo di torba arriva già a emergere, divenendo un substrato adatto allo sviluppo degli sfagni, un complesso gruppo di muschi tipici delle torbiere: è questa la cosiddetta torbiera "alta", un ambiente povero di nutrienti, proprio perché non più indiretto contatto col suolo, e fortemente acido, quindi molto selettivo per le specie che riescono a vivere in esso.
La torbiera di Gola di Lago è quindi attualmente una torbiera "di transizione", instabile e in graduale, lentissima evoluzione verso il tipo "alto".
Proprio questo aspetto ne fa un ambiente molto ricco di specie, e in particolare di piante rare adattate alla carenza di nutrienti e all'elevata acidità dell'acqua. Fra queste di particolare spicco sono le cosiddette "specie carnivore", piante che per compensare la scarsità di sali minerali riescono a intrappolare e assorbire piccoli insetti; a Gola di Lago sono presenti ben tre generi diversi, l'Erba-vescica minore (Utricularia minor), l'Erba unta comune (Pinguicola vulgaris) e due specie del genere Drosera, D. intermedia e D. rotundifolia.

L'elevata biodiversità delle torbiere di Gola di Lago dipende da equilibri delicatissimi fra substrato, idrologia e biocenosi; l'intero ecosistema è quindi a elevato rischio, e come tale soggetto a protezione. Per questo l'area è stata recintata e l'afflusso con le auto regolamentato, predisponendo dei percorsi pedonali attraverso le zone umide, per poterne meglio apprezzare le caratteristiche riducendo al minimo l'impatto turistico.

Le linee fortificate lungo il crinale

La tranquillità dei percorsi nelle torbiere non deve però far dimenticare che, durante la Seconda Guerra Mondiale, Gola di Lago è stata uno delle postazioni avanzate delle linee di difesa elvetiche verso meridione, a rinforzo della preesistente linea estesa dal Monte Ceneri ai Monti di Medeglia. La sella infatti era tanto facilmente valicabile dal nemico, quanto adatta alla fortificazione. Allo scoppio delle ostilità, nel 1939, due fortini di fanteria vennero scavati in roccia appena sotto la Cima di Lago; ad essi se ne aggiunsero l'anno dopo altri due, uno sulla collina rocciosa appena sopra la torbiera e uno all'Alpe Davrosio; una decina di chilometri di trincee  e barriere di filo spinato completavano l'opera in questo settore. Equipaggiati con una decina di mitragliatrici e un cannone di fanteria sulla sella, i forti erano serviti complessivamente da una sessantina di militari.

Fortunatamente mai utilizzati durante la guerra, essi vennero mantenuti come posti di guardia sino agli anni '70, per poi essere abbandonati sino ai primi anni del '2000. Da allora - grazie all'impegno delle Amministrazioni locali e di Associazioni del territorio - è iniziata l'opera di recupero di queste strutture, considerate oggi per caratteristiche architettoniche e di armamento come di importanza nazionale.

Una rete di ben segnalati sentieri parte oggi dalla sella, risalendo verso la Cima di Lago e verso l'ALpe Davrosio; essa permette di raggiungere le fortificazioni, percorrendo quello che un tempo è stato un crinale di importanza strategica per la difesa del territorio.

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