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SIC DELLA VAL D'ARIGNA E DEL GHIACCIAIO DEL PIZZO COCA

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Di fronte al conoide di Ponte in Valtellina, la valle del torrente Armisa - nota anche come Valle d'Arigna, dal nome della frazione più addentro - esemplifica al meglio le caratteristiche naturali dei bacini del versante sinistro della valle dell'Adda.

Lunga meno di dieci chilometri dallo sbocco sino alla testata, essa si presenta come un solco ad andamento pressoché rettilineo, profondamente inciso e con versanti dalla pendenza elevata e costante per lunghi tratti, elemento questo che le conferisce in sezione il caratteristico profilo detto "a V". Nonostante si trovi in un'area estesamente glacializzata durante il Quaternario, infatti, essa era invasa dal ghiacciaio della valle principale, che "colava" entro essa bloccando il flusso del ghiacciaio locale, con un'azione erosiva pressoché nulla.

Solo nella parte alta il bacino si articola sulla sinistra in due valloni laterali sospesi, quello del torrente Santo Stefano - e dei relativi laghi che alimentano la centrale idroelettrica dell'Armisa - e quello di Reguzzo, mentre il ramo principale sale ripidamente sino al crinale orobico, che qui tocca la sua maggior quota nei 3050 m del Pizzo di Coca, digradando poi a occidente verso il Pizzo di Porola (2981 m).

Risalendo la Val d'Arigna, dal fondovalle dell'Adda alle massime quote della catena orobica si attraversano via via tutti i paesaggi tipici di questo settore delle Alpi, con passaggi graduali entro i quali trovano spazio habitat riconosciuti di particolare pregio dalla Comunità Europea.

Per tale motivo - analogamente a molte altre valli di questo versante - essa è tutelata come Sito di Importanza Comunitaria (SIC), esteso a tutto il bacino e denominato "Valle d'Arigna e Ghiacciaio di Pizzo Coca".

Sino ai 1300 m di quota, all'intorno della confluenza in Adda e nel primo tratto vallivo, il paesaggio è dominato dal bosco di latifoglie, con ampie estensioni di castagneti a cui si inframmezzano praterie da fieno.

Di interesse prioritario per la conservazione sono considerati in questo ambito i boschi a Ontano nero (Alnus glutinosa) inframmezzati a saliceti (Salix alba) di ripa (habitat 91E0), entro i quali spiccano qua e là plaghe di Mattheuccia struptiopteris, una felce piuttosto rara e di particolare eleganza; al piede dei versanti e nei valloni, spesso in collegamento con ruscelli e zone più umide, domina invece l'Acero (Acer pseudoplatanus) frammisto al frassino (Fraxinus excelsior) al raccordo con la piana dell'Adda, o al Tiglio (Tilia cordata, T. platiphillos) nella forra dell'Armisa (habitat 9180).

Addentrandosi nella valle, sino ai 1800 m di quota è il regno della pecceta, una delle formazioni forestali più diffuse in tutte le Orobie, con abete rosso (Picea excelsa) e un sottobosco via via più povero vero l'alto, mentre diviene più frequente il Larice (Larix decidua) e, sulle coperture detritiche, gli arbusti d'alta quota.

Di interesse prioritario sono in questa fascia altimetrica le cosiddette Formazioni erbose a Nardo (habitat 6230), plaghe discontinue di praterie pascolate, dominate da Nardus stricta, e con una ricca varietà di specie che traggono vantaggio dalle attività di pascolo ben gestite.

Di particolare rilevanza sono inoltre alcuni ridotti lembi nei canaloni di valanga e sulle conoidi detritiche ben irrorate, caratterizzati da comunità di alte erbe (megaforbieti), fra cui spicca con particolare rigogliosità la Selvastrella orobica (Sanguisorba dodecandra), una rosacea endemica delle Orobie, cioè presente solo in questo settore delle Alpi, e con massima diffusione proprio nelle vallate centrali esposte a settentrione e a elevata umidità atmosferica.

Riconoscibile per la bella fioritura piumosa pendula, di un tenue giallo, la Selvastrella è un relitto della vegetazione presente prima delle glaciazioni, rimasta isolata sulle Orobie in seguito alle fluttuazioni climatiche del Quaternario.

Altra specie endemica delle Orobie, anch'essa in plaghe ormai isolate, è la Viola comollia, che qui spicca con tenue colore lilla fra le pietraie d'alta quota, sino alla fascia in cui nei secoli scorsi si spingevano ancora le fronti glaciali.

Il bacino idrografico dell'Armisa è tutt'oggi fra i più glacializzati delle Orobie.

In generale, tutto il versante settentrionale del crinale orobico è caratterizzato da valli che si innalzano di quota lentamente per chilometri, per poi arrampicarsi talvolta per oltre 1000 m nello spazio di un solo chilometro, chiudendosi alla testata con pareti subverticali; nel tratto più elevato, fra il Pizzo di Scais e le Cime di Druet, si hanno così le condizioni ideali per la sopravvivenza degli ultimi ghiacciai di questo settore: ampie zone d'ombra anche in estate e versanti che scaricano valanghe, a cui si sommano le elevate precipitazioni nei mesi invernali.

Nel bacino dell'Armisa spicca il Ghiacciaio del Lupo, attualmente il più esteso delle Orobie, e "il meno orobico" dei ghiacciai della zona: esso occupa infatti un ampio circo, ed è fra i pochi alimentati dall'accumulo diretto di neve e non solo dalle valanghe; sospeso su un ripido pendio in roccia, presenta tutt'oggi una porzione frontale fittamente crepacciata e ben riconoscibile rispetto agli altri.

Completamente diverso - e tipico di questi versanti - è invece l'altro apparato importante, il Ghiacciaio del Marovìn, annidato nel fondo di un ripido vallone e alimentato solo da valanghe; esso scendeva - almeno sino al 2010 - dai 2450 m sino ai 2050 m, una delle quote più basse raggiunte da un ghiacciaio in questo settore, mentre le sue morene della Piccola Età Glaciale, molto vistose ed evidenti, indicano una fronte attorno a quota 1830.

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