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MUSEO DELLO SPALLONE (MASERA)

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Gli spalloni di Masera

I contrabbandieri, conosciuti come Spalloni - sfrusit in dialetto ossolano - erano coloro dediti al trasporto di merci attraverso i valichi transfrontalieri con la Svizzera a partire dalla metà del XIX secolo, periodo dal quale tali importazioni ed esportazioni vennero vietati e divennero illegali.
Sul confine italo-svizzero, infatti, si erano già sviluppati dal XVI secolo intensi scambi tramite la someggiatura, che assicuravano entrate integrative alle attività agrosilvopastorali. Con lo stabilirsi dei confini politici e doganali - la frontiera tra Svizzera e Italia venne istituita nel 1861 - la violazione delle leggi che regolavano il traffico di merci costituì il contrabbando che divenne un'attività per necessità, e non solo per convenienza.

In particolare modo il fenomeno si sviluppò dopo la Grande Guerra che impoverì le valli d'Ossola, per cui l'attività si pose come alternativa all'emigrazione.  

Influì inoltre la mancanza delle merci contrabbandate: in particolar modo si era soliti trasportare merci di cui non si aveva grande disponibilità, come il caffè o la zucchero e "contraccambiare" con generi di cui in Italia si disponeva maggiormente, come, oltre al riso proveniente dal territorio vercellese, il sale.

Si parla quindi di tre periodi che hanno preso il nome dal tipo di merce trasportata: caffè, riso, e sigarette. Ma tra le merci si trovavano anche saccarina, dadi, cioccolata, orologi, tabacco sfuso, cartine per sigarette, pietre focaie e, successivamente, accendini, scarpe, liquori, stoffe, lana, calze di nylon, gomme per biciclette, copertoni per auto (oltre i già citati zucchero e sale) e quant'altro fosse richiesto sul mercato di entrambe le nazioni.

Durante la Seconda Guerra mondiale, poi, molti spalloni aiutarono i partigiani e molti ebrei e perseguitati politici che poterono rifugiarsi in Svizzera.
In tutte le valli dell'Ossola non vi era uomo che non avesse praticato il contrabbando, fenomeno che nei territori di più antica tradizione si esaurì soltanto negli anni '60 del Novecento, quando ormai per gli spalloni italiani conveniva giungere senza merci in territorio elvetico e acquistare solo sigarette.
Patria per eccellenza di spalloni era il paese di Masera. Poiché era situato a fondovalle, si trattava di un luogo strategico di smistamento merci, più facile per gli spostamenti e meglio collegato che non i paesi di montagna. Inoltre vi erano controllo minori da parte delle milizie confinarie.
Il contrabbando era svolto lungo tutto l'anno ma in prevalenza nei mesi invernali perché in tale periodo erano ferme le attività agricole, della silvicoltura e dell'edilizia.
Da Masera si raggiungevano i paesi di Locarno, di Cimalmotto e Valmaggia in Svizzera passando dalla Valle Vigezzo attraverso i passi della Fei, della Forcola e di Forno o tramite l'Alpe Cravariola attraverso la bocchetta della Fria.
Si diventava spalloni molto giovani, intorno ai quindici anni, seguendo i più anziani e imparando i sentieri servendosi anche degli om, insieme di pietre disposte in maniera piramidale lungo le vie.

Era svolto soprattutto da uomini ma non mancano casi di donne impegnate sistematicamente nell'attraversamento dei valichi con carici di merci. Un carico di merci arrivava a pesare 35-40 kg, senza contare un minimo di vivande, e veniva trasportato nelle bricolle – dal termine francese bricole che significa cinghia per reggere pesi, è una sacca di juta cucita e irrigidita da cartone, con due bretelle per il trasporto - caricate sulle spalle. Il percorso era molto accidentato e difficile, la traversata poteva durare alcuni giorni e molto dipendeva dal meteo. Si impiegavano dalle poche ore, per coloro che abitavano sui confini, a tre giorni per chi doveva partire da paesi come Masera. Inoltre in inverno occorreva più tempo perché si dovevano battere le piste. Ci si muoveva di notte, a piedi o con le racchette da neve ed i ramponi per non affondare: solo in alcuni casi si ricorreva agli sci, più difficili da trasportare.
Se si era sorpresi dal cattivo tempo si era costretti a tornare indietro così come in inverno, quando sovente avvenivano slavine e valanghe che bloccavano la strada. Per marciare ci si aiutava con un bastone (spesso bucato in cima per contenere i soldi), tenuto obliquo o quasi perpendicolare al terreno: si procedeva puntandolo sulla parete di roccia a monte per controbilanciare il peso e evitare di cadere a valle, mentre in inverno esso veniva usato anche per tastare la presenza della neve o come racchetta per scivolare giù dai pendii. 

Lungo il tragitto vi erano alcuni punti di sosta che permettevano di riposarsi noti come i pos, rocce disposte una sull'altra fino all'altezza della schiena per appoggiarsi senza togliere la bricolla.
Una volta valicato il confine, sincerandosi di non incontrare le guardie, si raggiungevano i paesi svizzeri e si barattavano le merci o le si dava previo pagamento, in ogni caso gli scambi avvenivano di nascosto in case conosciute e le merci si nascondevano subito in posti sicuri come i fienili. In caso di pericolo si suonava un corno di montone quale segnale per i compagni e si abbandonava la merce nascondendola e recuperandola il giorno dopo, rimanendo nascosti finché le guardie non se ne fossero andate.

Le guardie svizzere non perdonavano il contrabbando e gli arrestati venivano portati a Bellinzona dove, dal 1945, sorsero delle strutture di detenzione: il castello di Unterwalden, le scuole di Ravecchia e il collegio Francesco Soave per gli uomini, la Casa d'Italia per le donne. In questi contesti non era insolito presentarsi e registrarsi con nomi falsi. Il carcere non era percepito come tale mentre si temevano maggiormente le guardie svizzere sui confini, le quali non si curavano di sparare a chi non si fosse fermato, non pochi sono infatti i casi di decessi.

I finanzieri italiani erano altrettanto temuti, soprattutto dopo la II Guerra Mondiale, i quali spesso riuscivano a scovare e a fermare  le automobili, mezzo con cui si trasportavano le sigarette contrabbandate fino a Torino, tramite la collocazione sulla strada di catene chiodate.
Questo tipo di contrabbando - che suole definirsi "pulito" e non ha niente a che vedere con il traffico illecito odierno - ha costituito un tassello importante per le economie alpigiane di confine. E' terminato a seguito dell'aumento della quotazione del franco svizzero e del boom economico che ha reso non più necessario viaggiare per poter immettere sul mercato merci di difficile reperibilità ma utili alla vita di tutti i giorni.

 

Notizie storico-critiche
Uno dei primi episodi di contrabbando conosciuti risale già al 1757: 44 donne provenienti dalla valle Onsernone (valle ticinese che confina con la Val Vigezzo) furono fermate dagli agenti  di frontiera mentre cercavano di portare in Italia circa 10.000 cappelli di paglia.
Tuttavia, si possono distinguere tre periodi che prendono il nome dalle merci più richieste: il periodo del caffè che comprende la seconda metà dell'ottocento fino al primo dopoguerra, il periodo del riso che comprende gli anni dal 1943 al 1946 ed il terzo periodo, quello delle sigarette che è iniziato durante il secondo conflitto mondiale ma si è intensificato nel dopoguerra ed è durato fino a poco dopo gli anni '60.
Il contrabbando ricevette nuovo impulso negli anni tra le due guerre, a causa di alcune misure imposte dal regime fascista. Negli anni '30 la revoca dei passaporti di lavoro, che permettevano alle genti ossolane di recarsi in Svizzera per lavorare come boscaioli o nell'edilizia,  fece aumentare la disoccupazione e il ricorso al contrabbando. Inoltre al monopolio sul caffè, in  vigore dal 1919, si sommarono le sanzioni internazionali per l'aggressione all'Etiopia nel 1935, che comportarono l'aumento de prezzi di merci di importazione.

Completò il quadro l'istituzione, in quegli stessi anni, della Milizia Confinaria. Durante la Seconda Guerra Mondiale cambiarono il flusso delle merci e soprattutto la tipologia delle merci: fu il tempo del riso. In precedenza l'importazione del caffè era conseguenza dei dazi doganali a cui sarebbero state altrimenti sottoposte le merci importate dagli spalloni in Italia.

Nel secondo conflitto mondiale, invece, i contrabbandieri importavano in Svizzera beni di cui la popolazione elvetica non disponeva essendo sottoposta ad una rigida economia di guerra e dove le autorità svizzere vietarono l'esportazione di merci di cui prevedevano un rapido esaurimento delle scorte.

Durante il contrabbando del riso le donne erano incaricate di reperirlo a Domodossola, dove lo compravano da commercianti compiacenti che lo davano in nero, facendo attenzione ai posti di blocco della Finanza come in frazione San Rocco a Premia lungo la Valle Antigorio. Dopo la fine della guerra cambiarono nuovamente il flusso e la tipologia delle merci e anche le modalità del contrabbando: saccarina, tabacco e caffè tornarono ad essere merci che provenivano dalla Svizzera. Al contempo tramontò il tempo del riso poiché la rivalutazione della lira contribuì a rendere sconveniente per gli svizzeri il suo acquisto dall'Italia. Si affermò infine il contrabbando delle sigarette e del tabacco poiché in Svizzera non vigeva il monopolio e la fabbricazione era affidata ad iniziativa privata e la merce costava meno.

La Svizzera adeguò infatti la propria legislazione alla nuova situazione così nel 1948 ciò che in Italia restava un'importazione illegale, per la Svizzera diventava la seconda esportazione, un artificio che legalizzava – in territorio elvetico – il lavoro dei contrabbandieri e che divenne molto redditizio tanto da comportare spesso un viaggio con le bricolle vuote e l'acquisto di sigarette. Questa periodizzazione è quasi una conseguenza naturale della distinzione tra contrabbando per necessità e per convenienza, che spesso tuttavia si confusero e si sovrapposero.

 

Apprendimento e trasmissione 
L'apprendimento e la trasmissione di questa memoria storica è avvenuta, fino a poco tempo fa, in prevalenza entro le mura domestiche e famigliari. L'istituzione del museo ha costituito un importante momento per la conoscenza del mestiere dello sfrusit. Trattandosi di un sapere non più in uso il museo si colloca come promotore e veicolo della trasmissione di una memoria storica che ha caratterizzato non solo Masera ma l'intera Ossola. Per questo verranno studiati dei percorsi didattici per le scuole e per coloro che vorranno approfondire la conoscenza attraverso le stesse voci degli uomini che hanno partecipato al contrabbando fino agli anni '60 del Novecento.

 

Comunità
Il contrabbando ha costituito un sapere trasmesso di generazione in generazione per più di 150 anni. Attualmente, anche grazie alla costituzione del museo dello spallone, da presenza scomoda del passato, di cui si parlava solo in famiglia, è divenuto parte del patrimonio storico-orale non solo a Masera ma nell'intera Ossola, le cui valli sono accomunate storicamente da questo fenomeno.

Oggi, quindi, la popolazione di Masera guarda al contrabbando con occhi diversi ed a dimostrazione di questo vi è la raccolta firme istituita per l'edificazione del monumento allo spallone, caldeggiata dall'associazione Amici del museo dello Spallone e che ha raccolto nel 2011 più di mille presenze.

 

Azioni di valorizzazione
Il museo dello spallone a Masera è stato inaugurato il 21 ottobre 2012 ed è stato voluto dagli "amici del museo dello spallone" che dal 2002 portano avanti l'idea di dedicare, prima con un monumento e ora con un museo, il ricordo di un mestiere di confine svolto per necessità. L'allestimento - a guisa di osteria - è collocato in un edificio comunale che è stato carcere, latteria sociale e, infine, scuola elementare. Il percoso ricorda, tramite cartine, arnesi ed ex voto, la vita dello spallone.



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