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Le streghe di bormio

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Descrizione

Guardando la verde e solatia vallata di Bormio, si fa fatica a credere che qui, durante il sedicesimo e diciassettesimo secolo infuriarono alcune fra le cacce alle streghe più violente dell'Italia settentrionale.

Nonostante quanto comunemente si creda, la caccia alle streghe non è stato un fenomeno medievale: le sue origini sono infatti da cercarsi nella profonda crisi che segnò in tutta Europa l'inizio dell'Età Moderna.
Mentre l'avanzare della Piccola Età Glaciale, con stagioni via via più fredde e umide, innescava una serie di cattivi raccolti e di conseguenti carestie, la Valtellina fu coinvolta nelle vicende europee della Guerra dei 30 Anni, che vide fronteggiarsi gli Asburgo di Spagna e d'Austria contro la Francia: sin dal 1512, la valle e la Contea di Bormio facevano parte della repubblica delle Tre Leghe dei Grigioni, e ora, fra il 1620 e il 1639, diventarono il teatro della Guerra di Valtellina, una vera e propria guerra di religione tra i cattolici locali, difesi dagli Asburgo spagnoli, e i dominatori Grigioni - in genere più tolleranti anche se di religione riformata - appoggiati dalla Francia, da Venezia e dai Savoia.

Armate diverse attraversarono la valle più volte, con successive ondate di violenze, stragi e saccheggi, sino a che nel 1629 apparve lungo i confini anche lo spettro della peste. Fu un periodo di paura, in cui tutti credettero che Dio volesse punire gli uomini per i loro peccati, e in particolare per la diffusione, fra le classi elevate, dell'eresia protestante, e fra il popolo della stregoneria e della devozione al Demonio. Mentre la popolazione cercava rifugio nella fede, e le apparizioni della Santa Vergine si moltiplicavano, le autorità locali da un lato arricchivano le chiese con dipinti, statue e grandi organi atti a solennizzare le funzioni religiose, dall'altro intensificavano la caccia agli eretici e alle streghe.
Le persone, in gran parte donne, sospettate di essere dedite alla magia, spesso a causa delle loro conoscenze di medicina tradizionale e della loro attività curatrice, furono spesso accusate dai vicini stessi di causare malattie, morti, tempeste e frane; catturate dalle autorità, venivano quindi costrette con la tortura a confessare i loro torbidi rapporti con Satana: fra il 1630 e il 1632, solo nei piccoli villaggi della Valdidentro e del Livignasco ben 34 persone vennero considerate colpevoli di stregoneria, decapitate e poi bruciate per questo presunto crimine.
Ma la strage nella valle, iniziata verso il 1550, continuò almeno sino alla fine del '600; forse, l'ultima vittima uccisa come stregone fu un uomo di Tirano, nel 1703.
Gli archivi di Bormio contengono più di 5000 manoscritti originali relativi ai locali processi per stregoneria: catalogati e riassunti uno per uno, sono oggi disponibili a utti in rete, e costituiscono una testimonianza impressionante di questo periodo buio dell'Età Moderna, che rappresenta l'effettiva, tragica controparte delle numerose affascinanti leggende sulle streghe narrate in molte contrade valtellinesi.

 

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Guardando la verde e solatia vallata di Bormio, si fa fatica a credere che qui, durante il sedicesimo e diciassettesimo secolo infuriarono alcune fra le cacce alle streghe più violente dell'Italia settentrionale.

Nonostante quanto comunemente si creda, la caccia alle streghe non è stato un fenomeno medievale: le sue origini sono infatti da cercarsi nella profonda crisi che segnò in tutta Europa l'inizio dell'Età Moderna.
Mentre l'avanzare della Piccola Età Glaciale, con stagioni via via più fredde e umide, innescava una serie di cattivi raccolti e di conseguenti carestie, la Valtellina fu coinvolta nelle vicende europee della Guerra dei 30 Anni, che vide fronteggiarsi gli Asburgo di Spagna e d'Austria contro la Francia: sin dal 1512, la valle e la Contea di Bormio facevano parte della repubblica delle Tre Leghe dei Grigioni, e ora, fra il 1620 e il 1639, diventarono il teatro della Guerra di Valtellina, una vera e propria guerra di religione tra i cattolici locali, difesi dagli Asburgo spagnoli, e i dominatori Grigioni - in genere più tolleranti anche se di religione riformata - appoggiati dalla Francia, da Venezia e dai Savoia.

Armate diverse attraversarono la valle più volte, con successive ondate di violenze, stragi e saccheggi, sino a che nel 1629 apparve lungo i confini anche lo spettro della peste. Fu un periodo di paura, in cui tutti credettero che Dio volesse punire gli uomini per i loro peccati, e in particolare per la diffusione, fra le classi elevate, dell'eresia protestante, e fra il popolo della stregoneria e della devozione al Demonio. Mentre la popolazione cercava rifugio nella fede, e le apparizioni della Santa Vergine si moltiplicavano, le autorità locali da un lato arricchivano le chiese con dipinti, statue e grandi organi atti a solennizzare le funzioni religiose, dall'altro intensificavano la caccia agli eretici e alle streghe.
Le persone, in gran parte donne, sospettate di essere dedite alla magia, spesso a causa delle loro conoscenze di medicina tradizionale e della loro attività curatrice, furono spesso accusate dai vicini stessi di causare malattie, morti, tempeste e frane; catturate dalle autorità, venivano quindi costrette con la tortura a confessare i loro torbidi rapporti con Satana: fra il 1630 e il 1632, solo nei piccoli villaggi della Valdidentro e del Livignasco ben 34 persone vennero considerate colpevoli di stregoneria, decapitate e poi bruciate per questo presunto crimine.
Ma la strage nella valle, iniziata verso il 1550, continuò almeno sino alla fine del '600; forse, l'ultima vittima uccisa come stregone fu un uomo di Tirano, nel 1703.
Gli archivi di Bormio contengono più di 5000 manoscritti originali relativi ai locali processi per stregoneria: catalogati e riassunti uno per uno, sono oggi disponibili a utti in rete, e costituiscono una testimonianza impressionante di questo periodo buio dell'Età Moderna, che rappresenta l'effettiva, tragica controparte delle numerose affascinanti leggende sulle streghe narrate in molte contrade valtellinesi.